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10 Maggio 2013, 08.40

Punti di Vista

«Report» e il turismo in Valle Sabbia

di Aldo Vaglia
Una puntata di Report dal titolo "belli da morire" sembra disegnata su misura per la nostra valle. Si ritrovano tutte le magagne e le mancate opportunitĂ  denunciate nella trasmissione

Non sempre è per cattiva volontà che si perdono occasioni di anticipare, programmare, controllare attività che potrebbero dare al nostro territorio quel “quid” che, assieme ai tradizionali settori dell’economia, gli consentirebbe uno sviluppo sostenibile e costante nel tempo.
Luoghi e prodotti eccellenti, arte e paesaggio, meriterebbero un‘attenzione maggiore, da parte delle istituzioni, che dalle ricadute positive non potrebbero che trarne vantaggi.
Eppure sembra che una rincorsa a farsi del male sia l’attività preferita da chi ci amministra.
Capita col Lago, con la Rocca d’Anfo, con le Strade, con i Borghi, con le Energie, con la Montagna, con i Paesaggi.

Seppure i singoli comuni siano i responsabili diretti delle scelte, quello che è mancato, in assoluto, è il ruolo di sinergia della Comunità Montana.
I piani di sviluppo sono rimasti il libro dei sogni. La valorizzazione delle zone montane attraverso la razionalizzazione delle risorse una buona intenzione.
Come gli altri enti del decentramento (province, regioni, unioni, città metropolitane), anche le Comunità si sono dimostrate un organismo in aggiunta e non di aggregazione, i conflitti di attribuzione si sono connaturati agli sprechi e alle burocrazie e il territorio non ne ha tratto alcun giovamento.

Non solo le istituzioni non hanno funzionato, l’idea che ogni attività dovesse produrre profitto immediato e che con la cultura non si mangia, ha causato più danni della burocrazia.
La denuncia di Report parte proprio da queste considerazioni: “con il patrimonio che abbiamo di natura, di arte, di cultura, enologico, gastronomico, dovremmo essere ricchi e felici… com’è che non riusciamo a metterlo a frutto? Di chi la responsabilità?

Quando si tratta di turismo l’idea che il nostro paese è talmente bello che possiamo vivere di rendita, perché tutti desiderano visitarlo, è purtroppo un’idea di 30 anni fa.
Il mondo è cambiato, oggi chi decide è il turista e con l’attività vuole i servizi.
Bisogna agire subito e organizzarsi per offrire il nostro prodotto. Dal patrimonio culturale a quello gastronomico ai monti, ai laghi ai fiumi ai mari al turismo rurale, qualunque cosa è un settore strategico in crescita. Con l’artigianato e il design può valere il 15% della nostra ricchezza.

Non possiamo però uniformarci ad ogni decisione che viene da fuori. Se a Oslo dicono, in nome della naturalità, che le foreste non si toccano, quello che può andare bene in America del Nord, in Germania in Svezia in Norvegia è la catastrofe in Italia.
Quando il contadino abbandona il terrazzamento l’assenza di manutenzione fa si che il muro che sostiene il terrazzo collassi, il 98% delle frane avviene per questi motivi, è quello che succede alle 5 Terre.

Non possiamo far scomparire 121 paesaggi rurali, pastorali, storici, catalogati; perché dai castagneti della Toscana ai terrazzamenti della Liguria, agli uliveti e vitigni del Garda, ai pascoli della Vallesabbia, dopo un rimpallo tra urbanisti e forestali si decide che il bosco non può essere tagliato.
Anche lasciando  rimboschire tutta la penisola non faremo ugualmente concorrenza alle foreste dell’America e del Nord Europa, riusciremo solo a distruggere il più grosso patrimonio paesaggistico di cui, unici al mondo, siamo dotati.
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