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04 Novembre 2012, 09.00

Punti di Vista

Il non votante

di Aldo Vaglia
Turarsi il naso e votare, votare per il meno peggio, dare il proprio voto ai grillini. C'erano queste alternative, ma la maggioranza dei siciliani ha scelto di non votare

Una legge considerava che non votava un cittadino che non compiva il proprio dovere.
Dopo tangentopoli l’ipocrisia ha lasciato il posto ad una definizione più realistica: il non votante esercita un suo diritto.
Nei referendum questo diritto ha un effetto moltiplicatore e se ne appropriano i partiti, che in genere condannano l’astensione, per mantenere obbrobriose leggi da loro fabbricate.
Chi vuol mandare al mare i votanti, solo quando fa comodo, in questa tornata elettorale è stato accontentato: la Sicilia ha preferito la spiaggia alle urne.

Ha avuto ragione il non voto? Forse No! Ma almeno non avrà nulla da rimproverarsi e non si sentirà gabbato per l’ennesima volta.
Se la politica non è in grado di attrarre, se il numero ridotto di chi va  a votare coincide con amici parenti famigliari dei favoriti e degli addetti ai lavori, e il partito più votato è quello definito “ l’antipolitico”, qualche problema per la democrazia si pone.
E il richiamo all’investitura popolare di chi festeggia la vittoria con certi numeri è un canto stonato.

La terra del “cambiare tutto perché nulla cambi” è la metafora dell’Italia.
Gli estremismi dell’isola del “61 a 0” e della maggioranza che non vota forse non si ripeteranno a livello nazionale, ma questa astensione è oggi un voto politico.
Essa dice all’Italia che l’era della casta, distante, sprecona, mangiasoldi è in esaurimento e chi ha intenzione di scappare con gli ultimi spiccioli rimasti in cassa si affretti. Non sarà nemmeno la riedizione di una legge elettorale che sostituisca la “porcata” a ridare credibilità a un’accozzaglia di corporazioni che si spartiscono il potere.

Un libro in uscita di Michele Ainis ordinario di istituzioni di diritto pubblico dal titolo “Privilegium” ripercorre la storia dei privilegi ai politici partendo dall’impero romano.
 
“Ogni privilegio reca una discriminazione, è il vantaggio di pochi e il danno di molti, è per questo che l’Antica Roma proibiva le leggi particolari in nome “dell’aequa libertas” Poi il senato cominciò a dispensare taluni dall’osservanza delle leggi, con il Principato i privilegi divennero importante strumento di governo. Con l’età feudale ogni regola si converte in deroga, tutto è “privilegium” quello distribuito dal sovrano ai suoi vassalli, così come le indulgenze somministrate dalla chiesa.
Questa intelaiatura dura fino alla rivoluzione francese che si propone di abbattere i privilegi per restaurare l’uguaglianza. La fraternità in luogo dell’inimicizia”
 “In Italia  gli ideali illuministi non hanno  mai attecchito. Qui ha messo radici viceversa una cultura papalina, oscurantista, nemica del progresso. Non abbiamo più l’impero, anche se a giorni alterni si propone qualche nuovo imperatore. Non esistono più ducati e principati, la polvere dei secoli ha sommerso i comuni medievali, non i campanili. C’è uno stato, ma non un popolo italiano. C’è piuttosto una ragnatela di gruppi di lobby di caste. Per sbloccare il paese servono riforme che il potere delle corporazioni blocca”.


Chi ci ha provato dall’interno è stato cooptato è successo alla Lega e all’IDV difficilmente si salverà il movimento 5Stelle.
Serve una rivoluzione.
Una rivoluzione pacifica di disobbedienza una rivoluzione “gandhiana” che spazi via tutte le dispense e le indulgenze senza salvacondotti per i vecchi vassalli e valvassori.
 
Tra le quattro proposte di Ainis:
1) Segare il ramo su cui sono seduti i professionisti della politica 
2) rafforzare il referendum con l’abolizione del quorum 
3) introdurre il “recall” per revocare anzitempo gli eletti immeritevoli 
4) Una “camera dei cittadini” per i giovani i disoccupati gli esclusi (in fondo siamo tutti esclusi) designati per sorteggio, quella del “senato dei cittadini eletto per sorteggio” mi sembra la più vicina al sentire dei non votanti e forse non è nemmeno tanto peregrina.
 
Conclude ancora il professore: “Era affidato ai sorteggi, come formula per arginare prepotenze e pressioni, la stessa elezione del Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia. E Aristotele diceva: “l’elezione è tipica delle aristocrazie, il sorteggio delle democrazie”.

Piuttosto di vedere eletti quelli che si comprano i voti dalla camorra, i delinquenti che devono sfuggire alla giustizia, gli incapaci perché si considerano onesti, gli antipolitici perché sono meglio dei politici, un bel sorteggio garantirebbe di più la qualità e la democrazia e avrebbe anche il vantaggio di un notevole risparmio di denaro.
Nel frattempo non andare a votare non è poi così disdicevole e inutile come si vuol far credere.
 
Aldo Vaglia
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