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08 Gennaio 2014, 09.20

Racconti del Lunedì

Bei toti

di Ezio Gamberini
"Bei toti! Oggi a pranzo: primo piatto, pane; secondo piatto, pane; contorno, pane...", è il messaggio conclusivo della mia gentile consorte che ricevo sul telefonino...
 
...Era stato preceduto da un altro che mi informava: “Pane già preso!”, al quale avevo risposto: “Bel colpo, anche io!”.
E così, alla fine, ho chiuso la piacevole discussione: “Ok, toto one a toto two, ci vediamo a pranzo, passo e chiudo”.
 
Un mese e mezzo fa, vennero a prenderti prima delle otto, ed io restai ad aspettarti in camera con un libro in mano e i ricordi che cominciavano ad affiorare.
Quando raggiungesti un’età adeguata, ti avvisai: “Ora che hai quarant’anni potrei scambiarti con due di venti…” e tu a ribattere: “ Ed io potrei fare altrettanto con due di quarantotto chili!” (ma più tardi, divenuto maratoneta, i due avrebbero dovuto pesare meno di quaranta chili; un po’ troppo poco, no?).
 
Un giorno in cui avevamo degli invitati a cena, quando rincasai ti vidi indaffarata attorno ai fornelli; correvi da una parte all’altra della cucina, sbuffavi e strepitavi, agitata, e guardasti l’orologio: “Sono indietro!” continuavi a ripetere.
Santa donna! Come non andarci d’accordo? Non appena entri in casa, lei riconosce le proprie colpe, ammette candidamente la sua triste condizione…
 
Te lo feci notare; ti bloccasti di colpo brandendo il forchettone, il tuo sguardo era terribile, compresi al volo le tue intenzioni e, prima di dileguarmi, ti sentii ancora borbottare: “E per fortuna che stamattina mi sono alzata presto per fare la gallina ripiena….”.
Non riuscii a trattenermi e, incurante del cataclisma che avrebbe potuto abbattersi in cucina, tornai indietro e ti chiesi: “Che cosa vuoi dire, forse stamattina alle cinque ti sei rimpinzata di brioches e sei uscita in giardino a fare ‘coccodè’?”, e mi defilai velocissimamente, con i tre figlioli a coprirmi le spalle…
 
Una sera invece eri preoccupata perche l’indomani mattina saresti dovuta andare dal dentista per una visita: “Piuttosto di andarci le prenderei….”, mi confidasti sconsolata.
“Nessun problema – ti risposi, non prima di essermi assicurato che tra noi due ci fossero almeno una decina di metri – telefono al dentista, disdico l’appuntamento e ti do due o tre ‘pappine’, se vuoi…”.
 
E ti ricordi invece i primi giorni trascorsi in casa nuova, quando dovemmo abituarci alle “persiane” da chiudere, al posto delle classiche tapparelle che si azionavano con una cinghia bicolore? La prima mattina, al risveglio, bisbigliasti assonnata: “Apro le ‘persiane’?”.
“Ma sì, apri ‘alle’ persiane – ti risposi – e fanne entrare un paio; anzi, forse ne basta soltanto una”, e con uno scatto felino evitai lo scappellotto che intendevi appiopparmi, allontanandomi alla svelta dalla camera.
 
Dopo un’interminabile e pesantissima giornata di lavoro, una sera avevi il “frinchete” e continuavi a rigirarti sotto le lenzuola: “Sono troppo stanca, non riesco a dormire”, ti lamentavi.
“Io avrei una bella idea” sussurrai. Nella penombra mi parve di scorgere un lampo nei tuoi occhi. “Giù c’è una tonnellata di roba da stirare – ti dissi - e se vuoi, intanto, puoi caricare una lavatrice”.
Dovevo aver scorto male; i tuoi occhi erano chiusi e il respiro pesante. Ti baciai sulla fronte: “Buona notte, vecchierella mia. A domani”.
 
Insisti nell’affermare che ti ricordi di me, quando eravamo all’asilo, nella stessa classe: siccome ero discolo, mi avevano messo vicino a te, paziente e ordinata, così mi avresti aiutato nei lavoretti in cui bisognava incollare il riso sui cartoncini. Boh, io non mi ricordo, e credo che tu menta spudoratamente.
 
Spesso discutiamo su quello che consumiamo quotidianamente, e allora in quell’occasione ti rassicurai: “Quando saremo vecchi vecchi, rincitrulliti e ‘toti’…vedrai che non consumeremo quasi più nulla”. “Ohh, parla per te”, fu la tua risposta piccata.
“Volevo essere gentile, ma hai ragione: quando saremo vecchi vecchi, tu rincitrullita ed io vispo e arzillo….”, replicai non prima di essermi portato a distanza di sicurezza…
 
E’ trascorsa una decina di anni, ma mi diverto ancora a rievocare ciò che successe una mattina, non appena suonata la sveglia, alle sei e quindici. Mi dicesti, assonnatissima: “Abbassa la sveglia, abbassa la sveglia!”.
“Abbassa la sveglia – ribattei – e come faccio a sentirla, se l’abbasso?”. “E poi – proseguii insonnolito – stavo facendo un sogno...”.
“E cosa sognavi, una bionda?”. “No – ti risposi – una mora. Era ai piedi del letto, mezza nuda, ma io le ho detto: ‘Io sono sposato, e non tradirò mai mia moglie...’”.
“Sono proprio scemo... – ti confessai – almeno in sogno, qualche divagazione...”. “Ohhh, e me lo dici anche? Comunque non m’interessa cosa combini in sogno, ma quello che fai nella realtà!”.
“Ma porca miseria! – sbraitai - E non potevi dirmelo prima? Uno si regola, no? E quando mi capita un’altra occasione simile?”. E dovetti “svicolare” dalle lenzuola, prima di ricevere una cuscinata.
 
Povera Grazia, come fai a sopportarmi continuamente?
Ma io allora cercai di alleviarti il dispiacere e ti rassicurai: “Tranquilla, fra una cinquantina d’anni ti mollo!”. Trascorsi dieci anni la consolazione è mutata, riducendosi di conseguenza: “E non illuderti troppo: tra quarant’anni ti mollo”, anche se proprio ieri mi hai detto: “Quaranta? Non si può fare quarantacinque?”. Benedetta donna, non ti accontenti mai! Vabbè, cinquantatré (i nostri anni) più quaranta fa noventatre, più altri cinque novantotto. E che non ti venga in mente, quando l’anno prossimo ti ripeterò la frase: “Tra quarantaquattro anni ti mollo…” di volere arrotondare ancora a quarantacinque.
 
Passa il tempo, lentamente. Sono quasi le due quando ti riportano in camera, dopo cinque ore trascorse in sala operatoria.
Non fare la sciocca, neppure io l’ho fatto cinque anni fa quando il mio cuore si fermò e lo fecero ripartire. Non ti ho lasciato sola allora, non puoi farlo tu adesso.
Senza di te sono “toto” e perso, incapace di connettere, di pensare, ragionare. Forse siamo come l’acqua, H2O: idrogeno e ossigeno insieme formano quella meravigliosa sostanza che è alla base della vita, mentre da soli, i due elementi, sono molto meno interessanti: incolore, inodore e altamente infiammabile l’uno, termodinamicamente instabile l’altro. E tra la H e la O ci metterei un bel 3, a simboleggiare i nostri figlioli.
 
Che bello per noi ringraziare ogni giorno il Padre che è in cielo per averci donato tre perle preziose, uniche e irripetibili!
Che dici, pensi che tra dieci o undici anni, dopo averne lavorati quarantatré o quarantaquattro, ci lasceranno liberi di passare il tempo come ci garba, visitando le città e i musei che abbiamo sempre sognato, con calma, senza fretta e premure?
Poi quando saremo vecchi “patocchi”, vi prego, lasciateci vicini, e se avremo il “Parkinson”, il mattino metteteci una bottiglia di latte intero tra le mani, e la sera venite a ritirare del buon burro fresco di giornata; allora ci sembrerà di essere ancora “buoni” a qualcosa.
 
Ma ora non è il tempo! Comincia il nuovo anno, e in un paio di settimane avrai terminato le terapie. Ed io, come sempre, ti sarò accanto, e di tutto questo non resterà che un brutto ricordo.
 
Toto one a toto two, passo e chiudo.
 
Ezio Gamberini

 
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