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09 Novembre 2012, 09.20

Punti di Vista

Disoccupati, esodati, senza lavoro

di Aldo Vaglia
È il lavoro che manca o l'incapacità di fare profitto delle imprese che le spinge a cercare chi lavora gratis? ...con un occhio all'America

La produzione cresce ogni anno e anche lo sfruttamento delle persone in cui trasferiscono il lavoro le imprese aumenta. Non è il lavoro che manca, è solo il posto che cambia.
A giudicare dagli interventi messi in atto da ogni governo, sia esso di destra, di sinistra, o tecnico il problema non si risolve.
Gli sgravi fiscali,  gli investimenti in grandi opere, gli incentivi alle imprese perché assumano, non creano un solo posto di lavoro.
Per la nostra classe dirigente è piuttosto difficile intervenire sulla vera causa perché quello che ci affligge prima che economico è un problema culturale ed essa è poco attrezzata per entrambi.
La Fiat che ha perso totalmente la sua responsabilità sociale (solo in Italia) è l’esempio lampante di quanto i governi siano importanti per dare risposte alle crisi.
Marchionne si può comportare come il padrone delle “belle braghe bianche”  qui da noi, in America non gli è permesso.

Il vero problema, per Amartya Sen premio nobel per l’economia, che affligge il nostro paese è la disoccupazione che assieme alla povertà scardina la vita delle persone e i rapporti sociali.
“La possibilità di una vita dignitosa di una realizzazione di sé e dei propri figli dipende dalla disponibilità di un lavoro stabile, dignitoso, retribuito. Quando esso viene a mancare, la persona, la famiglia, la comunità sono ferite nel profondo delle loro strutture portanti”.
 
È di questi giorni il dato ISTAT sulla disoccupazione di settembre pari al 10,8%+ 02 punti rispetto ad agosto.
Quasi tre milioni di disoccupati comportano una riduzione del PIL di 70 – 80 miliardi all’anno, anche se ricevono un modesto reddito dal sussidio di disoccupazione o dai piani di mobilità i disoccupati sono loro malgrado costretti alla passività, non producono ricchezza, le macchine e gli impianti giacciono inutilizzati, le capacità professionali si logorano e sono difficili da recuperare.

Questi temi sono stati al centro dello scontro per la “Casa Bianca” ai 171.000 posti di Obama creati in un mese rispondeva Romney con la promessa che col piano proposto da Paul Ryan per la ripresa economica si sarebbero creati dodici milioni di posti di lavoro in quattro anni.
 
Nel discorso d’insediamento, con la richiesta di collaborazione allo sfidante il Presidente è ritornato sui temi della campagna elettorale: “nonostante le nostre differenze la maggior parte di noi condivide principi comuni. Vuole un futuro per i nostri cittadini fatto di scuole migliori, di nuovi posti di lavoro, senza un debito schiacciante, non minacciato da un pianeta che si riscalda. Un paese che è sicuro, rispettato e ammirato nel mondo e difeso dal miglior esercito che esista. Un paese che si muova con fiducia oltre la guerra verso un futuro di pace.
Abbiamo molti soldi e l’esercito più potente, ma non siamo ricchi per questo. Abbiamo le migliori università e una tradizione culturale incredibile.
Credo che potremmo mantenere le promesse dei padri fondatori. Che se sei disposto a lavorare duro non importa che tu sia uomo o donna, bianco o nero, ricco o povero, vecchio o giovane, etero o omo, riuscirai a farcela in questo paese e a vedere realizzato il tuo sogno. Il meglio deve ancora venire
.
 
Anche dal confronto tra i temi che affronta una democrazia matura e il nostro pietoso dibattito politico, si capisce perché il nostro bel paese non si scrolla di dosso il nomignolo di Italietta.
 
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