Sono 40 anni che si parla di decentramento ed aggregazioni, ma neanche il federalismo e' stato in grado di scalfire l'infernale macchina mangiasoldi della politica italiana
Dall’Unità d’Italia ad oggi si è stati capaci solo di aggiungere, mai di fondere, aggregare, unire, togliere.
Le 58 Provincie sono diventate 107, i 7.720 comuni 8.092, eppure la penisola non si è né allungata né allargata.
Le Regioni, le comunità montane, le comunità isolane, le unioni di comuni, le città metropolitane, organi nati per decentrare hanno lasciato un sistema ibrido Centralistico- Regionale con un conflitto di attribuzione irrisolto.
Un milione e 300 mila persone che vivono di politica e costano 24,7 miliardi di euro l’anno, hanno bisogno di diluire la loro presenza in una miriade di enti in cui difficilmente ci si raccapezza, ma seppure tanti non sono che il 2% della popolazione. Questi sono tutti campanilisti, (forse più campanari e sacristi che campanilisti).
Non credo in ogni caso che abbiano chiesto al restante 98% se è contento di sprecare il proprio denaro per mantenere enti ed istituzioni doppioni di quelle già esistenti.
La furbata della riforma del titolo quinto, per smontare la proposta federalista, non ha certo migliorato la situazione, ha solo messo per iscritto quanto di abnorme c’era già nei fatti.
Istituzioni nazionali e locali, enti, agenzie pubbliche, controllate e partecipate da Comuni e Regioni, consorzi, associazione e unioni, comunità montane, città metropolitane, un sottobosco dove si aggirano nani strapagati travestiti da manager, portaborse e consulenti nominati e scelti senza alcun riguardo al merito e alla professionalità, sono quanto con un termine ormai diventato di uso comune si definisce “La Casta”.
Nemmeno la democrazia è salvaguardata quando i comuni sono micro realtà con numeri inferiori ad un condominio, troppi interessi parentali si trasformano in guerre tra famiglie che si tramandano di generazione in generazione.
Così si esprimevano i Risorgimentali per dare un senso alle Province: “…immaginate circoscrizioni amministrative provinciali, non diremo molto vaste o molto popolose, ma tali che racchiudano in sé sufficienti elementi di vita, e vedrete meno grette le intenzioni, più estese le viste, meno preponderanti le influenze locali, più studiato e ricercato l’interesse generale, più apprezzata l’indipendenza, più sicura infine la libertà”.
La crisi, come dice “Ric” in un commento, potrà essere la livella che abbassa tutte le pretese e che impone una ristrutturazione del sistema amministrativo.
Con la fusione di piccoli comuni che diano vita a realtà locali più efficienti e la soppressione di enti inutili doppioni di quelli già esistenti si ottiene il contenimento della spesa ed una migliore funzionalità.
Non è detto però che la politica segua la normale logica, anzi di sicuro gonfierà tutto il possibile finchè scoppierà come la “rana” di Fedro.
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