Gilda era una bidella volenterosa e tenace, infaticabile nel suo lavoro, ma un po’ “strana”, diciamo così...
Alta un soldo di cacio e mingherlina, nel vederla non l’avresti quasi considerata, ma se c’era da spostare della roba, anche i colleghi più grandi e grossi impallidivano di fronte alla sua forza sovrumana: appoggiava sulle scrivanie una montagna di sedie e le spostava come nulla fosse da una classe all’altra.
Nessuno sapeva che istruzione avesse avuto, quali scuole frequentato, ma la sentivano spesso discutere, durante la ricreazione, con le due figlie che frequentavano l’istituto in cui lavorava, una iscritta allo “Scientifico” e l’altra al “Classico”: “Ma no, sciocchina, quelli sono Fichte, Shelling e Hegel, gli “idealisti” che volevano essere più “idealisti” di Kant, il capostipite; ne parliamo stasera a casa…”, mentre con l’altra trattava con assoluta naturalezza di Tucidide o Plutarco, piuttosto che Platone, Luciano o Senofonte, e le difficoltà nell’affrontarli, come se stessero invece parlando del “Grande Fratello” o “ X Factor”.
Ormai tutti si erano abituati e Gilda a questo punto non costituiva più per nessuno una sorpresa, neppure per i giovani colleghi bidelli appena assunti che, increduli ma incoraggiati dai più “navigati”, le chiedevano a bruciapelo: “Volume del tronco di cono?”. E lei rispondeva, quasi sbuffando, e infastidita dalla banalità del quesito: “ !”.
Ma un bel mattino successe una cosa straordinaria, che avrebbe cambiato il corso delle cose.
Gilda si presentò al lavoro con una scopa “leopardata”: la parte inferiore, composta di normalissime setole nere attaccate al classico supporto di legno, era assolutamente normale, mentre il manico era costituito da un lucidissimo bastone in alluminio anodizzato, leggerissimo, di lunghezza e diametro usuali, ma meravigliosamente dipinto a macchie di leopardo, bianche e nere!
Non si era mai vista al mondo una scopa così sorprendente, e tutti, infatti, ne restarono impressionati.
Da quel giorno la Gilda divenne quella della “Scopa leopardata”, e pareva che del resto tutti si fossero dimenticati.
Anche i “professoroni” tirarono un sospiro di sollievo: tutto era rientrato nella normalità e più nessuno le faceva domande, neanche per scherzo.
Ma voi sappiate che la Gilda è sempre lei, anche se agli occhi di tutti sembra una semplice bidella che, con la sua “scopa leopardata”, ripulisce le classi dell’istituto.
Pensavo fosse una battuta, invece Grazia riesce sempre a stupirmi. In giardino abbiamo una pianta di ortensie, il cui colore oscilla tra il bianco e il rosa...
Alle sette e mezza mattutine, in una gradevole giornata di primavera ormai inoltrata, giacca e camicia per intenderci, basta maglioni, cappotti e giacconi, dopo aver estratto l’autovettura dal garage, attendo Grazia davanti alla cancellata...
Venerdì sera di metà marzo, terminata la giornata e settimana lavorativa, rientriamo a casa e affrontiamo l’ultima curva che conduce al nostro villaggio
Chiara, la nostra ultimogenita, da gennaio si trova in Olanda per il progetto Erasmus, dopo essersi laureata nel luglio scorso in Psicologia, e fino a giugno frequenterà la specialistica all’università di Groningen
Da qualche tempo, ormai, i patti sono stati definiti con chiarezza. Quella volta gli dissi: “Fino a quando avrò dei debiti, non puoi permettere che io me ne vada”. Non mi rispose. Chi tace acconsente, per cui secondo me l’accordo è valido.
Dal 1996 al 2010 ho compiuto per lavoro numerosissimi viaggi all’estero. L’avvenimento curioso e singolare che voglio narrare oggi è avvenuto la sera del 16 marzo 1998 nella sala d’ingresso dell’Hotel Bucuresti, a Bucarest