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20 Gennaio 2012, 07.00

Punti di vista

Anonimato dei politici o politica anonima?

di Aldo Vaglia
Snobbano e spiano il giornale fingendo disinteresse, pronti a far intervenire, protetti dall’anonimato, servizievoli supporter se qualche cosa urta la loro suscettibilità.
 
Sono i politici che invece di discutere pubblicamente: scelte attività e progetti, si ritirano nei loro rifugi dorati e ne escono in campagna elettorale.
 
Si dibatte da parecchio tempo, sui blog e anche sul nostro giornale, se sia utile mantenere l’anonimato o comparire con le proprie generalità. 
Anche se personalmente preferisco firmarmi, credo abbia ragione Peter Gomez, direttore del fatto quotidiano, quando a un suo giornalista che contestava l’anonimato risponde: “ scrivere o intervenire tramite internet equivale per molti versi a parlare davanti a una folla in una piazza pubblica o nel buio di un teatro. 
Chi decide di farlo accetta un rischio: quello di essere ( magari ingiustamente ) fischiato. 
Se il pericolo fischi ( o pomodori) lo spaventa può sempre scegliere di non aprire bocca”.
Il ragionamento non è però del tutto disinteressato. 
Per i giornali, in special modo per quelli che si autofinanziano, il numero di contatti vale più della qualità degli interventi e il direttore, a ragione, tiene conto dei costi e dei benefici.
 
Ad Andrea Scanzi, il giornalista alle cui osservazioni ha risposto Peter Gomez (che così descrive gli EIW ( eterni incazzosi da web): “ sono tanti e arrabbiati, a prescindere. È la nuova razza in servizio permanente sul web: quella degli eterni incazzati. Gli internauti lividi, pronti a insultare tutto e tutti. Soprattutto chi è, anche solo, appena più noto di loro. Meglio ancora se c’è l’anonimato a proteggerli. La rete ha tanti pregi e qualche controindicazione . Sfugge a censure e filtri, ma la possibilità di “Dibattito Aperto” tracima puntualmente in cagnara”), si aggiunge Januaria Piromallo che riprendendo un articolo di Beppe Severgnini  cita una massima di Platone “ anche un uomo onesto dotato dell’invisibilità diventerebbe un ladro (tanto chi lo scopre)”. 
 
E su tutti Beppe Severgnini: “è stato detto e scritto, anche da persone informate e perbene, che l’anonimato rappresenta la libertà. Non sono sicuro di questa equivalenza, in una società aperta. Temo possa diventare, invece, un invito all’irresponsabilità e una copertura per l’ignavia, a lungo andare la ricetta per l’irrilevanza. Non sapere chi dice una cosa rende questa cosa meno interessante: non viviamo dentro un romanzo di Sciascia”. 
Sulla questione anonimato si troverà un compromesso, e se non ci riuscirà il civismo dei commentatori ci penseranno i direttori dei giornali a mettere dei filtri.
 
Ciò che già da oggi si potrebbe pretendere è che non ne facciano uso i politici. 
Per loro visibilità e trasparenza dovrebbero essere dogmi da rispettare. 
La democrazia è il governo del popolo, quella indiretta per potersi ritenere tale necessita che la delega venga costantemente verificata, ciò è possibile attraverso la formula della “partecipazione informata”.
Credere che sia sufficiente un bollettino periodico inutilmente costoso, dove ognuno si loda e si sbroda, quando ci potrebbe essere un’agorà gratuita per formare e informare è: puerile se in buona fede, abominevole se pur consci dell’inutilità si continua a farne uso.
 
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