«Chissà cosa le passò per la testa quando un brutto mattino, dopo una notte di agonia, andarono a dirle che suo marito era morto...»
...Un banale incidente, una caduta in moto, mentre scendeva da un sentiero in collina, ma il manubrio gli spappolò il fegato.
Francesco possedeva due moto ed una passionaccia infinita, racchiusi in soli cinquant’anni.
L’ultima figlia aveva due anni, i gemellini cinque, la primogenita venticinque e in mezzo altri sei, a scalare.
Zelinda si ritrovò a quarantatre anni vedova con dieci figli!
Tutto sarebbe potuto succedere... ed invece accadde un miracolo: i fratelli più grandi aiutarono i più giovani, ed i piccoli quelli ancora più piccini, mentre Zelinda, lungi dal “piangersi addosso”, rappresentò la loro “stella cometa”.
E vi posso assicurare che quei figli, che conosco personalmente, (non solo Attilio, mio coetaneo ed amico da sempre, un ragazzo davvero d’oro, ma anche Mauro, che fa il fotografo, Gianfranco, il più giovane Adriano, ottimo podista col quale abbiamo “incrociato” le scarpette sui sentieri polverosi, o il più anziano Mario, padrone di quei cani da caccia che poco prima di imboccare il sentiero sul fiume, durante i dodicimila chilometri che ho “macinato” per preparare le mie maratone, mi hanno sempre tributato un guaito festoso, mentre transitavo davanti alle loro cucce), possiedono una bontà smisurata, che viene da “dentro”, e che solo dal grande cuore di Zelinda possono avere ereditato.
Sono ormai passati quarant’anni dall’incidente, e venti da quando Zelinda, che ne aveva sessantaquattro, si è ricongiunta con il suo Francesco. Perchè allora parlare di lei, dopo tanto tempo?
Perchè in un mondo che perde la testa per “veline” e “tronisti”, che si appassiona per il destino di quattro mentecatti che si rinchiudono per mesi in una casa, sotto gli occhi di tutti, che tifa per chi grida di più, ecco, per me Zelinda rappresenta un diamante purissimo in mezzo a tanti sassolini insignificanti.
Il suo è stato coraggio autentico, integrale abnegazione e dono assoluto di se stessa.
S’è spesa completamente per i suoi figli, e nonostante questo, e le malattie che l’hanno colpita durante gli ultimi anni della sua vita, assistita amorevolmente dai suoi figli, ma in particolar modo dall’ultimogenita, aveva sempre una grande letizia interiore e per tutti incontrarla era un vero piacere.
Se vi capiterà di passare a Vobarno, una sera d’estate, chiedete, chiedete pure ai più vecchi di Zelinda, e col sorriso sulle labbra vi racconteranno di quanto fosse serena, e di come lei per prima provvedesse ad informarsi sulle condizioni di chi incontrava; e se alzate gli occhi al cielo, verso sud, e scorgete una stella scintillante che brilla luminosa, quella è la stella di Zelinda, anzi quella stella è Zelinda, che giorno dopo giorno guarda scorrere la vita dei suoi buoni e bravi figli, e di tutti quelli che ha amato.
Tratto dal volume: “Ai cinquanta ci sono arrivato” – Ed. Liberedizioni
Il racconto è del 2009
Pensavo fosse una battuta, invece Grazia riesce sempre a stupirmi. In giardino abbiamo una pianta di ortensie, il cui colore oscilla tra il bianco e il rosa...
Alle sette e mezza mattutine, in una gradevole giornata di primavera ormai inoltrata, giacca e camicia per intenderci, basta maglioni, cappotti e giacconi, dopo aver estratto l’autovettura dal garage, attendo Grazia davanti alla cancellata...
Venerdì sera di metà marzo, terminata la giornata e settimana lavorativa, rientriamo a casa e affrontiamo l’ultima curva che conduce al nostro villaggio
Chiara, la nostra ultimogenita, da gennaio si trova in Olanda per il progetto Erasmus, dopo essersi laureata nel luglio scorso in Psicologia, e fino a giugno frequenterà la specialistica all’università di Groningen
Da qualche tempo, ormai, i patti sono stati definiti con chiarezza. Quella volta gli dissi: “Fino a quando avrò dei debiti, non puoi permettere che io me ne vada”. Non mi rispose. Chi tace acconsente, per cui secondo me l’accordo è valido.
Dal 1996 al 2010 ho compiuto per lavoro numerosissimi viaggi all’estero. L’avvenimento curioso e singolare che voglio narrare oggi è avvenuto la sera del 16 marzo 1998 nella sala d’ingresso dell’Hotel Bucuresti, a Bucarest