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15 Ottobre 2012, 10.00

I racconti del lunedì

Dante

di Ezio Gamberini
«Non è mai cambiato, ho sempre visto Dante tale e quale. Quando morì aveva mille anni, o forse solo novantadue»
 
Pur essendosi sposato tardi ebbe un sacco di figli, e per tutta la vita, anche quando era vecchissimo, col suo caratteristico camioncino trasportò ogni genere di mercanzia: complessivamente, io credo che durante la sua esistenza abbia spostato l’equivalente volumetrico della Groenlandia!

Tutti i giorni andava a messa, e quando lo salutavi ti ricambiava con un leggerissimo cenno del capo, scrutandoti con quegli occhi grandi e bellissimi che risaltavano ancor di più sul viso scavato.

Era uno straordinario giocatore di dama e certe sere, quando ero poco più di un bambino e lo vedevo oltrepassare l’ingresso della Casa del Giovane, speravo che si avvicinasse all’amico Luigi, gestore del locale, per sfidarlo in epiche lotte sulla scacchiera.
Io allora mi accostavo al tavolo e mi sedevo, in trepidante attesa.
Entrambi erano giocatori di serie A e non solo per modo di dire, poichè partecipavano effettivamente a campionati e tornei riservati alla loro categoria, appunto la serie A; i giocatori “normali”, Dante e Luigi li avrebbero ‘stracciati’ in quattro e quattr’otto.
 
Vincevano a turno, quasi in perfetta parità, ma nessuno era in grado di battere loro.
Durante le partite Dante difficilmente apriva bocca, bastavano gli occhi, mentre Luigi, con mossa svelta e solenne, cominciava col bianco esclamando: “Sö che!” (Su qui!).
Era uno spettacolo vederli giocare e nel mio immaginario li ho sempre paragonati a guerrieri in perenne sfida, accorti a non scoprire il fianco ed intenti a cogliere ogni piccolo cedimento dell’antagonista per infilzarlo; l’apoteosi si raggiungeva quando una pedina o un “damone”, dopo aver obbligato allo scambio il contendente in difficoltà, cominciava a ‘mangiare’ una, due, o anche (raramente, tra di loro) tre pedine avversarie, producendo un caratteristico rumore sulla scacchiera che non dimenticherò mai: “Tac, tac…tac!”.

Al suo funerale c’era tutto il paese e quando aprirono il grande portone della chiesa si assistette ad una scena straordinaria: la bara di Dante, portata a spalle dai suoi figli maschi, era scortata da un nugolo di nipotini che si tenevano per mano accompagnando il nonno.

Non passò molto tempo, e purtroppo la chiesa dovette riempirsi di nuovo all’inverosimile perché stavolta ad essere scortata all’ultima dimora fu la nipotina di Dante, terzogenita della sua prima figlia, un batuffolo ricciolo di undici anni, investita da un autocarro per tragica fatalità.
I genitori e le sorelle più grandi, straziati, l’accompagnavano, mentre tutto il paese si chiedeva: “Perché?”.

Che dire a dei genitori e alle sorelle che perdono la loro piccolina? Cosa potrà confortarli?

Forse soltanto l’immagine di Dante che, tenendo la nipotina per mano, passeggia sui sentieri del cielo e consola i suoi rassicurandoli: “Non preoccupatevi figli miei, la piccola è qui con me…. e poi, siamo in buone mani”.
E non manca di rivolgere un altro pensiero: “Sta in pace!” a colui che non ha meno bisogno di conforto, cioè all’autista che all’improvviso se la ritrovò sotto le ruote, il quale, finalmente, potrà ricominciare a dormire.

Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni –

Il racconto è del 2007
 
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