di Fonte, Giuseppe Belleri, «La Voce della Valtrompia
La signora Giuliana racconta la storia di un Alighieri Dante che nell'omonimia inversa col sommo poeta ha sempre scherzato finché era in vita.
Avere avuto come padre Dante Alighieri non è certamente un fatto normale e alla signora Giuliana, residente a Concesio, rimane il dolce ricordo di un papà garbato, dolce con i quattro figli e la moglie, affabile, dalla vasta cultura e che discorreva brillantemente con tutti su qualsiasi argomento. Il signor Alighieri – deve aver avuto un bel coraggio sua madre a dargli quel nome – era nato nel 1908 ed ebbe una vita piuttosto movimentata: già all’età di 18 anni, dopo aver assistito alla tragica morte di un caro amico, schiacciato dal tram mentre salutava una ragazza in partenza, decide di lasciare l’Italia e si reca in Inghilterra, dove svolge con dovizia per un bel po’ di anni il mestiere di portavalori per conto dello zio orafo.
Nel mezzo del cammin di sua vita, come scriveva il suo omonimo Dante Alighieri – dove Dante era invece il nome – ritorna in patria e lavora, poi, come interprete per gli americani presso l’arsenale di Gardone Val Trompia: sul pullman che lo porta al lavoro fa la felice conoscenza della signorina Pasqua, originaria di San Vigilio di Concesio, che sposerà soltanto sei mesi più tardi. Finita la Seconda guerra mondiale gestisce l’osteria “Il Belgio” vicino al cimitero vantiniano e più tardi la trattoria “La Polveriera” che si trovava nelal zona del carcere di Canton Mombello; nell’anno 1966 rimane sempre in città, decidendo di aprire una tabaccheria-drogheria alle pendici del monte Maddalena.
Mentre in famiglia veniva chiamato “Primo”, dagli amici e dai clienti era soprannominato “Ciclamino” per via della sua esile figura. Quando suonava il telefono lasciava rispondere la moglie, poiché temeva che dicendo “Sono Dante Alighieri”, dall’altra parte del filo – come qualche volta accadeva – scherzosamente lo apostrofassero: “E allora io sono Giulio Cesare!”. Come ben sapevano gli antichi nel nome è già insito il programma di tutta una vita e il nostro Dante aveva sicuramente delle caratteristiche comuni col grande vate toscano vissuto a ridosso del XIV secolo: certo, non ha scritto rime ma ha vissuto una vita avventurosa e piena, ha saputo ben usare le lingue e ha lasciato in dote ai figli e ai nipoti il gusto per la poesia, che sovente colora e accompagna la nostra vita terrena in attesa di uscirne “a riveder le stelle”.
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