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03 Luglio 2012, 08.00

I racconti del lunedì

Abebe ha perdonato anche le acciughe

di Ezio Gamberini
I primi tre chilometri della 15' Maratona d'Italia sono stati corsi tra il tripudio generale della folla rosso-Ferrari che acclamava al sesto titolo iridato di Schumacher ed al quinto consecutivo costruttori...

Al contrario il ‘tripudio’ per il risultato della mia maratona si riduce alla magra soddisfazione di aver chiuso sotto le cinque ore.
Per il resto, accetto ed incasso il benevolo scappellotto rifilatomi da Abebe, il quale sembra fissarmi col viso truce, redarguendomi per l’inadeguato impegno profuso negli allenamenti.

Mai preparazione ad una maratona fu più disgraziata, discontinua e tribolata di quest’ultima in occasione di Carpi di quest’anno: classi e scuole nuove dei figli (Chiara ha iniziato le medie, Anna la 3’ liceo e Paolo l’università), viaggi lunghi ed inaspettati, imprevisti d’ogni genere: quante volte, nell’apprestarmi ad uscire per correre, dovevo rivestirmi per occuparmi di tutt’altro.
Se guardo sul mio diario i chilometri percorsi negli ultimi due mesi mi viene da piangere.....

Certe sere Grazia ed io, esausti sul divano poco prima di andare a letto, a mezzanotte o l’una quando va bene, ci ritroviamo qualche minuto a tentar di parlare: certe volte parlo io e dorme lei, in altre occasioni parla lei e dormo io (... “Ma come? Sto parlando e ti addormenti? – mi dice - “Ti prego, ti prego, continua....” l’imploro cullandomi ancor di più e assaporando la soave e melodiosa cantilena, più dolce di un sonnifero).
Abituati a correre ai mille all’ora cosa faremo quando saremo stravecchi, costretti sulla sedia tutto il giorno?
Vi scongiuro, lasciateci almeno vicini, e se avremo il Parkinson metteteci una bottiglia di latte tra le mani, il mattino presto, così la sera vi ritroverete con del burro fresco di giornata e ci parrà d’esser buoni a qualcosa.

Fortunatamente qualche lieta sorpresa, ogni tanto, interrompe il galoppo sfrenato.
Pochi giorni fa mi hanno fatto un regalo straordinario, frutto dell’eredità lasciata da un vecchissimo prete, morto da poco, che possedeva nella sua biblioteca volumi di un suo vecchissimo zio, prete a sua volta . Insomma, mi hanno donato dei libri del 1850 (un “Orlando Furioso” in quattro volumi, un “Vocabolario della lingua italiana”, un “Giovinetto – ‘drizzato’ alla virtù – manuale per educare i giovinetti) e sono felice.
Grazia li sfoglia: “Ti piacciono le cose antiche, eh?”. “Come no, mi piaci anche tu!” e mi dileguo prima che il libro antico mi si stampi sul muso.

Più passano gli anni e sempre in maggior misura apprezziamo il poco tempo che riusciamo a passare tutti insieme a tavola, durante il pranzo, raramente, e la cena, tardissimo, ma molto più spesso.
Il secondo giorno di scuola Chiara torna a parlare del suo futuro ed esprime qualche desiderio, al termine del pranzo, mentre mi accingo a partire per ritornare al lavoro: “Insomma, io da grande desidero fare la cuoca, però vorrei anche insegnare e mi piacerebbe tanto fare la psicologa....” *.
Colpito dalle affermazioni, ed avendo una fretta del diavolo, cerco di riassumere le aspirazioni e fornisco un utile suggerimento: “Vabbè, da grande insegnerai cucina ai matti.....”.

Una sera invece Paolo, dopo aver bevuto il caffè, con le mani dietro la nuca ed in atteggiamento rilassato svela a Grazia: “A Natale farò un regalo super alla mia morosa: una cassetta in cui declamo una poesia…… che bello leggere alla morosa una poesia scritta da te….” fantastica guardando il soffitto.
“Io?” dice Grazia, voltata di schiena, intenta ad infilare i piatti nella lavastoviglie – “E cosa se ne fa la tua morosa di una poesia scritta da me….”. “Mamma! Non te, nel senso di tu, ma te nel senso di io. Io gliela scrivo la poesia, non tu!”

Come gli altri anni arrivo prestissimo in piazza a Carpi per salire sui primi pullman che ci condurranno a Maranello. La parola d’ordine, stamattina per me, è: “Fi – nir – la”, senza preoccuparmi di tempi o cattive figure.
Scusa Abebe, ma ciò che oggi posso offrirti sono garretti stanchi e polmoni sgonfiati: accettali, insieme alla mai sopita voglia di correre con gli altri, di vederli, di esserci; fa che anche oggi possa tagliare il traguardo, pur se poco prima del tempo limite, e anche stavolta mi chinerò a baciare il 42.195° metro, come sempre.

Alle nove e venti precise si parte tra una folla festante, felice per le “rosse”. Uno davanti a me ha voglia di scherzare ed urla: “Forza Raikko...” e non finisce la frase perchè un vicino gli molla una ‘pappina’ sulla nuca: “Vuoi che ti facciano a fette?” lo rimprovera. Come al solito non riesco a regolarmi e mi ritrovo al decimo km in cinquantatre minuti: sto sprecando troppo.
Alla mezza il cronometro segna due ore e un minuto, mentre il trentesimo km è superato in tre ore e otto minuti. Poi il buio. Cominciano i crampi al polpaccio destro e non mi abbandoneranno più.
Chiudo sotto le cinque ore e mi chino a baciare il tappeto, dopo l’arrivo, ringraziando il cielo ed Abebe per aver concluso l’undecima mia maratona.

Durante la gara ho notato che qualche furbo si fa certamente trasportare, perchè me lo ritrovo davanti dopo averlo superato già due volte, nei primi venti chilometri.
Anche all’ultima Custoza c’era un furbone che tagliava tutte le curve o addirittura attraversava campi e strade per abbreviare il tragitto. No, non ci siamo. Io non ci sto!
Ed è un “ io non ci sto!” senza sconti e giustificazioni, convinto e testardo, quasi epico che si fa strada nella mia mente e che vorrei urlare ai quattro venti: come quello di Scalfaro, rivolto a quella smorfiosetta della Pivetti, oppure come l’“Io non ci sto!” che Tarzan indirizzava a Cita, sospettando che ci fosse qualcosa che non andava. Poi finalmente arrivò Jane.......

Come nelle altre edizioni alle quali ho partecipato, l’organizzazione è perfetta e tutto si svolge in maniera puntuale ed impeccabile.
Consegno il chip, ritiro il mio pacco e finalmente sono pronto per ritornare a casa.
Questa sera a tavola finalmente potrò sfogarmi, come in quell’occasione, circa un mese fa, nel mezzo di una dieta, quando mi concessi un’eccezione: per una volta tanto cerco di lasciarmi andare e mangio di gusto, sono proprio pieno.
Il pranzo è quasi finito, ma Grazia si alza, estrae dal frigo un vasetto d’acciughe e le appoggia con perfidia sulla tavola, accanto al mio piatto.
La ucciderei. “Vile!

Tentarmi così. Lo sai che sono in dieta”.
E soprattutto sa che per le acciughe compirei qualsiasi pazzia, che ne so, tradire la moglie o, peggio, tagliare il percorso durante una maratona.
“Dai, che le acciughe non ingrassano….”, sostiene con noncuranza la fedifraga. “Certo che le acciughe non ingrassano! – urlo come un pazzo - Come fanno ad ingrassare le acciughe, morte e stecchite, sott’olio da chissà quanto tempo. Sono io che ingrasso, non le acciughe!”, e parto all’attacco del vasetto fino a che non sono finite.

Anna e Chiara, con la loro genitrice, se la ridono alle mie spalle.
Donne! Le donne si dividono in due categorie: le false e le pure; le false sono false e le pure, pure.


Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni
Il racconto è del 2003
 
*Per la cronaca: Chiara da settembre  è iscritta al primo anno di psicologia…
 
Ezio Gamberini
 
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