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13 Maggio 2013, 09.15

I racconti del lunedì

Tutte le mamme vanno in Paradiso

di Ezio Gamberini
Lo dicevi spesso, negli ultimi mesi: "Che bello sarebbe andarsene in due o tre giorni, non di più!". Il tuo problema principale era quello di non arrecare disturbo e di evitare preoccupazioni ai tuoi figli...

...cosa che ti è riuscita perfettamente, fino all’ultimo.
“Quanti anni aveva?”.
“Ottantanove!”.
Quasi un’equazione: pare che il dolore sia inversamente proporzionale all’età. Che ne sanno loro, mamma?
 
Tutto è cominciato poco più di quattro anni fa.
Era il 22 ottobre del 2008, e nel pomeriggio c’era stato il funerale della tua vicina di casa, che abitava al piano di sopra. Stessa età, una vita in comune nel grande condominio, tra mille vicissitudini. I tuoi ottantacinque anni non ti permettevano di seguire il rito funebre, e quando accompagnarono la bara al piano terra, sbirciasti dalla porta. Qualcosa accadde…
 
Più tardi Grazia ed io passammo per salutarti, terminato il lavoro, come ogni sera, ma non appena entrati in casa ci accorgemmo che qualcosa non andava: c’era del caffè in terra, zucchero sparpagliato sulla tavola, tu cercavi affannosamente una medicina in un armadietto. Capimmo subito che qualcosa era successo. Eri confusa, straparlavi. Ti facemmo sedere sulla poltrona, e di lì a pochi minuti ti accompagnammo al pronto soccorso. Sapevi perfettamente che non saresti mai più ritornata alla tua casa…
 
A sera restai al tuo fianco, in ospedale, mentre ti esaminavano per capirne di più.
Un medico giovane e arguto mi disse: “E’ un ictus, la parte destra è lesa, ma riprenderà, mentre per la difficoltà di parola, il recupero sarà più difficile …”.
Medico giovane ma infallibile nella diagnosi: sarà proprio così. 
 
Ti spogliarono e per la prima volta vidi il tuo seno. Non avrei mai pensato che possedessi una pelle così liscia, e straordinariamente bella. Su quel grande seno ho affondato per centinaia di volte la mia testolina di monello impunito, alla ricerca di conforto dopo le mille malefatte compiute, nonostante i tuoi maldestri tentativi di colpirmi fingendo pessima mira, quando mi lanciavi contro ciabatte o zoccoli senza mai cogliere nel segno.
 
Quante me ne hai perdonate? Quante volte mi hai sostenuto e soccorso? Forse è proprio per questo che nella mia Via don Belli, i bambini che più mi appaiono simpatici sono quelli maggiormente discoli.
Mamma, pensavo con trepidazione che giunto il momento sarei impazzito dal dolore e nulla lo avrebbe potuto attenuare.
Invece, incredibilmente, come per miracolo, dopo mezz’ora sono stato pervaso da una serenità infinita, insieme ad una inaspettata e originale sensazione di “leggerezza”, che mai avevo provato fino a quel momento; sono certo che tutto ciò è potuto avvenire anche grazie alla vicinanza di un’altra mamma: Grazia, la madre dei nostri tre figli, che da ora in avanti sarà l’unica “mamma”.
 
E poi è sopraggiunto il ricordo e anche se campassi cento anni, sempre conserverò intatto il tepore delle tue mani che stringevano le mie, mentre m’insegnavano il segno della Croce, il Padre Nostro, l’Ave Maria…
Mai dimenticherò la tua bontà e il tuo altruismo, ma anche la grande finezza nei comportamenti, la vasta cultura e una curiosità inesauribile per il nuovo e il bello.
 
Non ti stancavi mai di leggere! Ti lamentavi di non essere più “produttiva”. “Sono una lazzarona!”, dicevi beffeggiando te stessa. Non si riusciva a stare più di cinque minuti con te, e poi cominciavi: “Adesso andate, che avete da fare”.
Da qualche tempo i ruoli che contraddistinguono il disvelarsi dell’amore filiale e materno si erano invertiti. Ne ho avuta la percezione quando una signora, tua vicina di letto all’ospedale in occasione di una breve degenza qualche tempo fa, mi fece notare che non aveva mai visto un figlio baciare sua madre sulla fronte.
 
E gli ultimi “due-tre giorni” prima di andartene, come desideravi, suscitavi più tenerezza di un bambino, con la voce sempre più flebile che ci esortava, mentre continuavo ad accarezzarti: “Andate, andate adesso… Grazie, grazie, andate…”, senza nemmeno la forza di aprire gli occhi.
 
Quando ti abbiamo accompagnato all’ultima dimora, finito tutto, ho preso una manciata di terra e l’ho gettata sul tuo feretro, e mentre rivolgevo lo sguardo alla fotografia della tomba accanto, ho incrociato gli occhi dolci di una ragazzina ventunenne deceduta quattro giorni prima di te in un terribile incidente stradale, che ha lasciato un figlioletto di tre anni.
 
Ora siete sepolte una accanto all’altra. Mi piace pensare che il destino le abbia riservato una vicina con le “spalle larghe”, un angelo custode straordinario, mamma di cinque figli che potrà raccontarle di quanto è stato bello crescerli, ma anche lo strazio di sopravvivere per trentacinque anni a uno di essi. Non ti sarà difficile accoglierla sotto le tue “ali” e considerarla una “figliola” aggiunta, quella splendida giovanissima mamma.
Sono certo che il giorno del Giudizio, l’Angelo del Signore sorvolerà il cimitero del nostro paese e additerà per prime voi due: “Carlina… Valentina… su!”, e allora mamma, prendila per mano e allenta la presa soltanto quando avrete varcato la soglia del Paradiso.
 
Perché tutte le mamme vanno in Paradiso: bianche e nere, brutte e belle, colte e ignoranti, vecchie e giovani, e anche quelle che lo sono state soltanto per dodici giorni, perché poi il loro bimbo è morto nel sonno.
E se ti è possibile già ora, salutami papà, e Guido, il tuo figliolo che se n’è andato troppo presto, quando aveva soltanto ventotto anni.
 
Ti prego, salutameli, perché ho troppa voglia di rivederli.
E se riesci, dai “piani alti” che certamente abiterai, poiché una mamma che ha cresciuto cinque figli “annullando” se stessa non può che occupare i posti migliori, metti una buona parola per i tuoi figlioli e le loro famiglie.
Non ti chiedono ricchezza; fa in modo che possano vivere e compiacersi del loro lavoro, e restino in pace con tutti.
E soprattutto prepara un angolino anche per noi, perché, stanne certa, alla fine un giorno ti raggiungeremo.
 
Ciao mamma.
 
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