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06 Maggio 2013, 08.40

I racconti del lunedì

Tre giorni a Cervia

di Ezio Gamberini
«Debbo assolutamente raccontare dei tre giorni passati a Cervia insieme a Grazia, da giovedì a domenica dell'ultima settimana di quattro anni fa...»
 
Da quasi due anni Grazia ed io non ci concedevamo qualche giorno di ferie.
Abbiamo deciso per Cervia, dopo aver visitato praticamente tutta la costa ravennate negli ultimi venticinque anni, da Milano Marittima a Cesenatico, i Lidi di Savio, Dante, Classe, Adriano, Punta Marina...

Tramite internet, ai primi di aprile, abbiamo prenotato una camera all’hotel Schiller e giovedì mattina verso le 11 e 30, dopo un viaggio tranquillissimo, siamo giunti a destinazione, di fronte all’entrata: lascio immaginare l’espressione delle nostre facce nel constatare che l’hotel era chiuso, non un’anima viva nei dintorni!

Dopo un attimo di sbigottimento abbiamo cominciato a ridere e non smettevamo più.
“Non è possibile, non è possibile” continuavamo a ripeterci. La signorina dell’Ufficio Informazioni, nella magnifica sede alla base della Torre, nei pressi del Museo del Sale, si è scusata ed ha chiamato l’hotel, imbarazzatissima. “Ah, c’è stato un disguido... Ve li mando? Hotel Roma, va bene”.

Si erano dimenticati di comunicarci che l’hotel avrebbe aperto soltanto l’indomani e ci proponevano il soggiorno, al prezzo convenuto, presso un altro albergo di loro proprietà, in Viale Roma, l’hotel Roma appunto, di categoria superiore rispetto allo Schiller.
Insomma, dal disguido ci guadagniamo, ed è proprio vero che non tutti i mali vengono per nuocere.

Dopo pranzo abbiamo raggiunto il Caffè Italia, in Piazza Garibaldi, dove avevo già gustato un caffè, in attesa che alle cinque di pomeriggio del 22 luglio 1998, fosse celebrata una messa per il 30’ anniversario della morte di Giovannino Guareschi, il “padre” di Peppone e don Camillo.
Giovedì l’aria era frizzante, ci sarebbe voluto un punch.
 
I tavoli vicini erano occupati da sei o sette anziani, il più giovane dei quali avrà avuto settantacinque anni.
Che piacere sentirli discutere, nel loro bel dialetto romagnolo. Se ci fosse stato qui il mio amico Valeriano si sarebbe fermato a parlare per ore.
Quando Valeriano percorre nuovi tragitti, alla scoperta di borghi e villaggi sconosciuti, ed incontra due o tre anziani che chiacchierano sulla via, con la scusa di chiedere informazioni si ferma e “attacca bottone”.
Ma è un vero cane, perchè per “aizzare” gli animi, certe volte alle risposte dei vecchi ribatte quasi indignato : “Ma come, se un signore prima mi ha detto proprio il contrario?”, oppure: “Guardi che si sbaglia, mi hanno riferito di proseguire dritto!”.
Allora comincia la pantomima: “Ma nooooo! Chi le ha raccontato questa baggianata? Lei deve....” e Valeriano si gongola, divertito.

Anch’io ho preso un po’ di coraggio, mi sono avvicinato ai loro tavoli e ho chiesto: “Sapete dove aveva casa Guareschi?”.
“Certo, una laterale di Viale Roma, Via Bellucci.... io l’ho visto, l’ho visto, e poi il giorno dopo è morto”, mi ha detto un signore sull’ottantina.
Poi è cominciato il “vespaio”, ognuno diceva la sua, e Grazia ed io ci siamo goduti questo cicaleccio.

Poco dopo, tornati in hotel, abbiamo notato una persona anziana, dall’andatura leggermente claudicante, sui settantacinque credo, che si aggirava per tutti i locali, sorvegliando con occhio discreto.
“Per me è il titolare, ora lo chiedo a lui dove si trova”, ho detto a Grazia. Non sbagliavo. “E’ la seconda casa, di là dalla strada”, ha risposto il signor Lucchi, la cui famiglia è titolare sia del Roma sia dello Schiller. A venti metri da dove alloggiamo (e dove non avremmo dovuto essere!).

Attraversiamo la strada ed imbocchiamo Via Bellucci. Ci avviciniamo, sono un po’ emozionato, soprattutto quando riconosco l’inconfondibile firma con la “G”, iniziale di Guareschi, a forma di naso appuntito con l’accenno dei baffetti neri, apposta sulla facciata dell’abitazione. Mentre infilo nella cassetta della posta una cartolina di saluti ai figli Carlotta (la mitica “Pasionaria”) ed Albertino, che dopo qualche tempo mi confermeranno di aver rinvenuto, dalle scale scende un micio dal pelo scuro e lungo: “Miao, miao”, mugola accorato, pare che mi voglia dire qualcosa (“No, Giovannino non c’è, non c’è...”), ma forse ha solo fame.

E’ sicuramente la suggestione, ma mi sembra di vedere Guareschi che sale le scale, si ferma e voltandosi mi scruta, burbero, con i suoi occhi scuri: “Che ho fatto?”, mi vien da pensare.

Qualcosa in più ci accomuna, ora: il cuore. Giovannino Guareschi morì d’infarto proprio in questa casa il 22 luglio del 1968, a soli sessant’anni d’età.
Anche io ho avuto problemi di cuore, e l’estate scorsa, quando si è fermato e mi hanno salvato per miracolo, dopo essere uscito dalla rianimazione e condotto in terapia intensiva, la prima cosa che ho chiesto a Grazia è stato il primo dei tre volumi di “Tutto don Camillo”; Peppone e don Camillo mi hanno accompagnato nella prima settimana in cui restai inchiodato al letto, ed il rileggere per l’ennesima volta quei racconti mi ha sorretto in modo straordinario.

Venerdì, piuttosto nuvoloso e freddino, con Grazia abbiamo camminato per ore, su è giù dalla spiaggia e all’interno della magnifica pineta, vero paradiso di podisti o semplici passeggiatori, in estate ristoro di mamme e bambini assolati, o vecchi in cerca di refrigerio.

Sabato è stata una giornata eccezionale, un bel sole caldo ed un’incantevole brezza hanno “sostenuto” le centinaia di aquiloni che volteggiavano nei cieli di Cervia in occasione del “29’ Festival internazionale dell’aquilone”.
E poi ho rivisto il bagno 41 “Soggiorno Gioiosa”, ormai fatiscente al pari degli altri bagni attigui, come abbandonata è la colonia che nei primi anni sessanta accolse migliaia di figli dei dipendenti delle gloriose “Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck”: ho avuto un tuffo al cuore, ed ho rivisto, su quel lembo di spiaggia, il caposquadra col fischietto in bocca di fronte a noi fanciulli schierati “sull’attenti”: “Fiiiit”, in acqua per dieci minuti; “Fiiiit” fuori! “Fiiit”, giù i pantaloncini che venivano poi infilati in lunghi bastoni; “Fiiiit”, indossare le mutandine di ricambio... che ricordi!

Percorriamo Viale Roma, e in direzione del municipio s’incontrano bancarelle di ogni tipo.
Una, in particolare, stimola la nostra curiosità: salumi, formaggi, ogni ben di Dio gastronomico: “Prosciutto di Parma, due euro l’etto”, leggiamo su un cartello in bella posta...
“Me ne dia un etto, per cortesia” chiedo al pasciuto gestore. Lo affetta magistralmente, con una stupenda affettatrice Berkel azionata con una manovella a mano; sta chiudendo l’involucro, lo blocco: “No, non lo chiuda!”. Grazia ed io attraversiamo la piazza con il nostro pacchettino di prosciutto aperto in mano, a mo’ di vassoio, e ne trangugiamo una fetta ciascuno, fino a quando non è finito. Che meraviglia! Non capisco perchè tutti ci guardino con stupore. C’è chi mangia il gelato, chi la piadina, chi lo zucchero filato, chi le noccioline o il popcorn; in questa terra dovrebbe dar scandalo chi si magia una fetta di prosciutto crudo? Che sete però! La divinità romagnola protettrice dei turisti (la Piadeina?), deve essere nei paraggi, perchè poco prima di giungere all’hotel vediamo un nugolo di persone attorno a dei tavoli: stanno inaugurando un bar. Torta romagnola, bibite e lambrusco per tutti! Ci avviciniamo, approfittiamo delle libagioni, rendiamo grazie a questa terra benedetta dal cielo e ci dirigiamo, “zigzagando”, verso la  nostra camera.

Il pomeriggio ci è poi capitato un episodio singolare.
Mentre percorrevamo Viale Italia, in direzione di Viale Roma, ho notato ai lati del marciapiede un portafoglio. L’ho raccolto, era alto quattro dita, pieno zeppo! Mi sono guardato intorno, ma nessuno manifestava l’intenzione di cercare qualcosa che aveva perso.
Siamo restati lì qualche minuto, poi ci siamo avviati verso la piazza, ove è situata la stazione dei Carabinieri. Ho dovuto per forza “ravanare” nel portafoglio, violando l’intimità del possessore, ma non avevo altra scelta.
 
Il proprietario era un quarantacinquenne di Cesena, e nel portafoglio, oltre alla carta d’identità, c’era la patente, una carta bancomat, una carta di credito, tessera sanitaria, viacard, una miriade di tessere di ogni tipo, e duecento euro in contanti, ma nessun numero telefonico utile per contattarlo. Il giovane carabiniere ha voluto che gli lasciassi i miei dati ed il numero di cellulare.

Verso le 18 e 30 mi chiama questo signore che non si era neppure accorto di averlo perso, mentre scaricava dalla macchina la carrozzina di suo figlio. Era stato avvisato da suo padre, immediatamente contattato dai Carabinieri di Cervia, e voleva assolutamente sdebitarsi. Ha insistito, ma gli ho detto che non avevo fatto nulla di straordinario, soltanto ciò che suggeriva la mia coscienza.

Dopo neppure un’ora, mentre Grazia ed io eravamo a cena, è squillato il cellulare.
Era nostro figlio Paolo che insieme ad Anna si trovava dai Carabinieri di Salò per denunciare un furto. Poco prima, in un parcheggio sul lungolago, più o meno alla stessa ora in cui rinvenivo il portafoglio, qualcuno ha forzato la portiera della Punto di nostra figlia Anna e sono stati rubati un vestito ed un paio di scarpe, freschi acquisti del pomeriggio (e non erano in bella vista, ma nel baule!).

Uno spiritello malefico mi bisbiglia all’orecchio: “Scemo, se ti tenevi il portafoglio di oggi chiudevi alla pari!”.
Che dire? A questo punto faccio come il fraticello descritto in un mirabile racconto di Guareschi il quale, stupito, accetta il biglietto da cinquecento lire dalle mani di Peppone, che poco prima invece l’aveva preso a male parole, ma successivamente, dopo averci ripensato, lo aveva inseguito lungo la carrareccia sul fiume per consegnargli l’obolo.
Non mi chiedo il perchè; prendo atto, ringrazio comunque il Padreterno e proseguo il cammino.

Il racconto è del  2009

Tratto dal volume: “Ai cinquanta ci sono arrivato” – Ed. Liberedizioni
 
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