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23 Ottobre 2012, 10.15

Filosofia

La libertà della precisione

di Alberto Cartella
L'approfondimento del filosofo saretino parte dal valore del 'concetto' e del suo significato per addentrarsi poi nel terreno della politica, nel quale bisogna essere in grado di coltivare l'attitudine della precisione nel prendere decisioni
 
Negli articoli precedenti ho fatto riferimento spesso al fatto che il filosofo crea dei concetti per rispondere a dei problemi concreti. Se ci si limita a questo però si rischia di incorrere in un inganno: credere che la propria creazione, il proprio concetto sia qualcosa di sostanziale, che ci sia una coincidenza fra il concetto inventato da lui e ciò che lo ha spinto a inventare questo concetto.
 
Credere ciò implica che il contenuto della sua creazione sia la cosa importante, da salvare e che le cose stiano come viene rispecchiato da questo contenuto. Questo discorso evidentemente vale anche per gli scienziati, i quali spesso cadono in questo inganno e persuadono anche altri in questa direzione.
 
Il valore del concetto non risiede nella vicinanza al dato immediato, ma nel progressivo allontanamento da esso. L’invenzione di concetti da parte del filosofo ci rimanda a una non coincidenza col dato immediato. C’è una non corrispondenza fra il concetto e ciò che orienta i nostri tentativi di formulazione.
 
Il dato immediato stesso, per esempio nella visione, ci restituisce questa non corrispondenza nella schisi fra l’occhio e lo sguardo. La visione e la descrizione anche mentale di ciò che stiamo vedendo (della quale non possiamo fare a meno) non coincidono. L’immediatezza del dato immediato è sempre una seconda immediatezza, perché è sempre legata ad un processo di apprendimento. L’andamento è paradossale.
 
Quello del concetto è un passaggio successivo rispetto a quello della visione. Nel concetto è operante un’astrazione simbolica; in esso le note particolari dalle quali l’astrazione formale astrae, determinando la generalità e la dialettica logica di comprensione ed estensione, non sono tralasciate, ma vengono mantenute grazie alla simbolizzazione, cioè alla loro sostituzione attraverso simboli.
 
Se non si cade nell’inganno della possibile corrispondenza fra il concetto e ciò che orienta il concetto spero, confido che il concetto sia un aiuto per lasciar sedimentare questo qualcosa che mi attraversa e che non è dell’ordine della volontà. Colui che cerca di far coincidere con il proprio concetto ciò che lo ha spinto a formularlo esprime un giudizio, si erge a giudice, non si rispecchia nello sguardo dell’Altro e rimane indifferente. Non si tratta di rinunciare alla volontà di comprendere.
 
Andando a vedere le implicazioni politiche di tutto ciò è importante per me porre una domanda che è anche un appello: per discutere con altri e per agire politicamente è necessario fondare un partito? Non credo. Questo non implica che non devono più esserci partiti e che quando si parla di partiti allora la politica non c’entra più niente, ma che la politica non è data dalla fondazione di un partito.
 
La politica non è il potere e non è nemmeno la rappresentanza. Per la politica non è necessario fondare un partito, ma bisogna riuscire a coltivare un’attitudine, una competenza: la precisione. Ai politici in carriera invece sta molto a cuore un’altra parola: decisione. Decidere vuol dire tagliare di netto la complessità di un problema e come sostiene Carl Schmitt «il sovrano è colui che decide nello stato di eccezione». Questa affermazione ci rimanda a molte vicende contemporanee.
 
Non ci si cura delle conseguenze concrete del taglio, ed è questo che rende la decisione gratificante per gli uomini di potere: si taglia via, l’agire è più facile perché ci vuole solo la volontà e la determinazione di andare dritti per la propria strada. Il sovrano è colui che decide nello stato di eccezione, nello stato di crisi (pensiamo alla nostra situazione italiana).
 
Avere un sovrano è molto più semplice, decidere è semplice quando c’è un sovrano. La democrazia invece è complicata, perché non è  il governo della maggioranza ma è la considerazione delle istanze delle minoranze. Eppure decidere si deve anche in democrazia. E allora come si fa? Con la precisione nella decisione.
 
Il segreto sta nel mantenere e nell’avviare relazioni che preservino dalla tentazione della via creativa solitaria. La generazione di cambiamento imprevisto è sempre un creare-insieme, anche nella forma del compimento dell’opera iniziata da una altro. In altri termini si tratta di agire fermandosi e chiedendo all’altro: che fare? Si tratta di uscire dall’isolamento e dal lamento solitario.
 
Il lamento diventa una forma di poesia solo se ci si lamenta assieme. Questo però richiede fatica e approfondimento, la pigrizia invece va molto d’accordo con la superficialità. La superficialità è ciò che fa rimanere nella dipendenza dal giudizio degli altri, il quale è un passaggio superficiale ma necessario. L’importante è non appiattirsi su questa superficialità.
 
L’appiattimento su questa superficialità consiste nell’allontanarsi dal proprio desiderio, dalla propria passione inseguendo le aspettative altrui. Ogni tanto bisogna porsi qualche domanda e non dare tutto per scontato cadendo in unidirezionalità pericolosa.
 
L’azione politica non punta a nessuna forma di potere ma alla riqualificazione della presenza di chi agisce di concerto. Un simbolo di ciò a cui ho tentato di approssimarmi in questo articolo è la protesta dei ricercatori nell’ottobre del 2010.
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