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28 Maggio 2012, 09.30

Filosofia

Intorno al concetto di anarchia

di Alberto Cartella
La riflessione settimanale del filosofo saretino si domanda che cosa significhi essere anarchici e come si leghino a questo concetto quelli di storia e libertà assoluta, prendendo a modello il pensiero e le considerazioni di Gilles Deleuze
 
Davvero il concetto di anarchia è un concetto carico di violenza e terrore? Chi si proclama anarchico è sempre tale? Se io mi proclamo Topolino, sono Topolino? Questi sono gli interrogativi che mi assillano in questi giorni.
 
Il concetto di anarchia rimanda a un problema un po’ nascosto, ma se non ci si limita al sorvolo è abbastanza chiaro: questo concetto non nasce dalla pretesa di voler dominare o organizzare a tutti i costi qualcosa nel mondo, ma dalla pretesa di partecipare ad esso.
 
Essere anarchici vuol dire essere senza dogmi e non accontentarsi del già detto, del già sentito e del già visto. Per quanto riguarda l’epistemologia essere anarchici vuol dire pensare che non esista alcun metodo privilegiato di ricerca scientifica che, se seguito, possa garantire il successo nell’acquisizione di conoscenza. Ci sono innumerevoli metodi diversi, e vale la pena di provarli tutti.
 
Essere anarchici vuol dire suggerire che ci sono molte forme di razionalità (o di modi di ragionamento diversi dal nostro), alcuni dei quali potrebbero essere efficaci in certi contesti o entro certi limiti.
 
Il concetto di anarchia è un elemento stellare, non è concluso, ma è matrice di percorsi, di situazioni in trasformazione. Esso non ha nulla a che vedere con le persone che si trovano in un appartamento a progettare una rivoluzione, tenendo presente che la rivoluzione non è la rivolta; la rivoluzione è del popolo, mentre la rivolta è del singolo.
 
A un anarchico non piacciono le riunioni dove si parla in continuazione. Un anarchico non è molto comunicativo e sa che le rivoluzioni finiscono male. Il partito comunista lo ha scoperto con Stalin. La rivoluzione francese ha fallito: ha partorito Napoleone. La rivoluzione inglese ha partorito Cromwell.
 
Bisogna sottolineare però anche che il fatto che le rivoluzioni finiscano male non ha mai fermato la gente, non ha mai impedito che la gente diventasse rivoluzionaria. Non bisogna confondere quindi divenire e storia.
 
Il problema concreto è perché e come le persone divengono rivoluzionarie. E non saranno gli storici a impedirlo. Gli uomini nelle situazioni di tirannia e di oppressione non hanno altra scelta se non diventare rivoluzionari.
 
Quando poi si dice che la rivoluzione è andata male non si parla della stessa cosa. L’avvenire della storia e il divenire attuale della gente non sono la stessa cosa. La libertà non può derivare da una concessione altrui, ma deve essere il risultato (insieme al processo) di una propria conquista. Non basta dirsi liberi, io devo poter fare o non fare ciò che desidero.
 
A un anarchico non interessa realizzare l'ideale della libertà, quello a cui punta è diventare differenza pura, ovvero non essere completamente giocato dagli idoli che lo circondano.
 
Il desiderio non consiste nell’erigere un oggetto, nel dire “desidero questo”; non si desidera la libertà. Il fatto stesso di avere interazioni con gli altri rende impraticabile la libertà assoluta, perché la libertà assoluta di qualcuno non può coincidere con quella di un altro.
 
L'importante è che l'interazione e la conseguente limitazione in termini di libertà sia accompagnata dal desiderio, il quale è un insieme, un concatenamento e non ha nulla a che fare con gli oggetti astratti.
 
Non si deve lottare per il diritto alla libertà (di stampa, di parola ecc...) o per i diritti umani. Il rispetto dei diritti umani è astrazione pura. Che cosa vuol dire “diritti dell’uomo”? Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo non sono mai fatte in funzione e insieme alle persone interessate. Per gli interessati il problema non sono i diritti dell’uomo, ma la questione è di giurisprudenza.
 
Tutti gli abomini che l’uomo subisce sono dei ‘casi’, non sono la negazione di diritti astratti. Sono casi abominevoli e si potrà dire che alcuni casi si somigliano, ma sono casi di giurisprudenza. Agire per la libertà, diventare rivoltosi, vuol dire agire nella giurisprudenza.
 
“La giustizia non esiste. I diritti dell’uomo non esistono. Conta la giurisprudenza, questa è l’invenzione del diritto […] La giurisprudenza è la vita; non ci sono diritti dell’uomo, ma ci sono dei diritti della vita e la vita è un insieme di casi” (Gilles Deleuze).
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Commenti:

ID7541 - 03/07/2012 09:27:30 (poncio52)
Trovo questi mini-trattati che appartengono alla rubrica "l'angolo del filosofo" sempre molto stimolanti, offrono un'infinita quantità di spunti riflessivi, oltre ad avere un'immediatezza e una forma impeccabili. L'unico appunto, a mio avviso, riguarda la lunghezza degli articoli. Trovo che l'autore abbia veramente molto da dire, ma immagino che per questioni di spazio, si ritrovi a concentrare molti concetti omettendone la loro interpretazione. Non è una critica distruttiva, anzi. Vorrei semplicemente leggere di più. :)



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