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06 Maggio 2012, 09.30

L'angolo del filosofo

La concretezza della ricerca pura

di Alberto Cartella
La disamina del giovane filosofo prende in considerazione proprio la materia filosofica, troppo spesso e da troppa gente vista come qualcosa di concettoso. Ma sono i concetti che creano l'innovazione, motore del cambiamento nei periodi di crisi
 
Costantemente uno studente di filosofia, di matematica o di fisica teorica incontra persone che gli chiedono: “Che cosa farai dopo?”; cosa che non succede mai con gli studenti di medicina, ingegneria, giurisprudenza, economia.
 
Ciò che non ha immediatamente un’applicazione spaventa chi magari ha scelto percorsi che invece presentano un’immediata finalità. Anche se bisogna tener presente che l’immediatezza è sempre una seconda immediatezza, in quanto è sempre frutto di un percorso di apprendimento.
 
La paura è dovuta all’ignoranza diffusa nei confronti della filosofia e della scienza legata all’impoverimento della nostra cultura. Ma la crisi non solo economica che stiamo vivendo non va vista necessariamente come una tragedia.
 
Einstein sosteneva che “la crisi è la più grande benedizione per le persone e per le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte, le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà violenta il suo stesso talento […]. La vera crisi è quella dell’incompetenza. L’inconveniente delle nazioni e delle persone è nella pigrizia nel cercare soluzioni.
 
Senza crisi non ci sono sfide. Senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito ed è nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi significa esaltare il conformismo. Ciò che occorre invece è lavorare duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla!”.
 
La parola d’ordine del periodo in cui stiamo vivendo è innovazione, ma come si fa l’innovazione? L’innovazione si fa con la ricerca applicata e la ricerca applicata è il frutto della ricerca pura, cioè la ricerca che si fa per la pura curiosità di conoscere.
 
Poi da questa ricerca pura possono scaturire anche dopo decenni le applicazioni. Un esempio è quello della scoperta dell’effetto fotoelettrico da parte di Einstein (che si definiva un filosofo), il quale prese il premio Nobel all’inizio del XX secolo per una ricerca che sembrava assolutamente pura e che poi ha portato a tutte le applicazioni elettroniche in cui siamo immersi oggi.
 
Molta gente considera la filosofia (parlo soprattutto della filosofia perché è ciò di cui mi occupo) una cosa molto astratta e un po’ per specialisti. Ma la filosofia non ha nulla a che vedere con gli specialisti. Non è filosofo né chi contempla né chi riflette. Un filosofo crea dei concetti, i quali non esistono belli e fatti, non stanno là a passeggiare nel cielo. Essi non sono stelle, non si contemplano, ma bisogna crearli.
 
Se si dà una definizione del concetto di ‘idea di Platone’ essa può risultare molto astratta. Infatti, si può dire che per Platone l’Idea è “qualcosa che non può essere qualcos’altro”, “qualcosa che può solo essere ciò che è”. Ma cercando di non essere astratti si deve notare che Platone crea il concetto di ‘idea’ per indicare ciò che permette la selezione fra dei rivali che pretendono una determinata cosa.
 
Si può fare l’esempio dei politici e ci si può chiedere che cosa devono avere i politici per svolgere al meglio il loro ruolo. Questa cosa alla quale un politico si deve avvicinare il più possibile per essere selezionato costituisce l’idea.
 
Il filosofo crea dei concetti e ogni concetto rimanda a un problema (per esempio la selezione dei pretendenti che ambiscono a una determinata cosa). Se facciamo filosofia astrattamente non percepiamo assolutamente il problema. La filosofia è creazione di concetti e creazione di concetti in funzione di problemi.
 
La gente in generale spesso non capisce a quale problema risponde il concetto. Ma molte persone non capiscono i problemi perché essi sono un po’ detti e un po’ nascosti. Per capire i problemi è necessario non sottrarsi al pensiero e quindi all’etica, la quale è la pratica di denaturalizzazione di ciò che riteniamo familiare. L’etica si insedia nello spazio che è dominato da stereotipi e dalla nostra pretesa di conoscere.
 
Occorre quindi porre attenzione alla necessità di un’interrogazione comune sul senso delle parole con cui abitualmente parliamo. Quindi, non possono esserci dei professionisti dell’etica, ovvero essa non può essere delegata a un gruppo ristretto di persone e non c’è nessun custode dell’etica.
 
La crisi che oggi viviamo è dovuta anche al fatto di aver creduto che ci siano dei professionisti dell’etica, mentre questa è interrogazione vissuta in comune. Il compito dell’etica ci porta verso gli altri; essa è fatta di azioni, ma un’azione è anche parlare, ascoltarsi, discutere.
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