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22 Aprile 2013, 09.30

Terza pagina

Nel mezzo di una verità

di Leretico
Una poesia di Montale del 1923, contenuta nella famosa raccolta "Ossi di seppia", mi è rimasta impressa e continua spesso a ritornarmi alla mente: "Forse un mattino andando..." (vedi testo allegato).
 
Le parole che mi colpirono quando la lessi la prima volta, e che tutt'ora emergono con forza insondabile, sono tutte nella prima parte: "aria di vetro", "miracolo", "nulla".
In questa poesia, il poeta ipotizza una scoperta miracolosa, un futuro miracolo che avverrà nel momento in cui, voltandosi indietro, scoprirà il "nulla".
 
Subito l'accostamento tra "miracolo" e "nulla" ci colpisce, perché la prima è una parola legata a qualcosa di positivo, di salvifico, mentre la seconda è una parola terrorizzante, angosciante.
Certamente la cosa è voluta, pensata, scritta con l'intento di creare l'effetto di "epifania", cioè di rivelazione.
La verità si rivela al poeta, la verità del nulla, del vuoto, si lascia cogliere dall'uomo sensibile, dal quel "genio" artistico che già Leopardi aveva saputo indicare nella sua opera più filosofica: La ginestra (1836).
 
Il "miracolo" di questa rivelazione tocca contemporaneamente due aspetti: emerge dalla crudezza dell'orrore come "illusione salvifica", condanna il poeta a portare con sé questo segreto, in mezzo agli uomini che non si voltano, che non si rendono conto.
La scoperta del "nulla" avverrà fugacemente e con la stessa velocità con cui apparirà, lascerà il posto, sullo schermo della realtà, al solito spettacolo, all'"inganno consueto" di alberi, case e colli.
 
Non manca il riferimento al mito della caverna, reso famoso da Platone, nel quale sul fondo di una caverna, a mo' di schermo, venivano proiettate ombre, credute la realtà dai prigionieri lì incatenati.
La rivelazione avviene nel freddo cristallino più arido, più limpido e trasparente e allo stesso tempo più inospitale e invivibile. Il miracolo, l'anello che non tiene, la maglia rotta nella rete, è una consapevolezza amara perché non condivisibile con gli altri.
Un segreto doloroso anche se unica fonte di vita.
 
L'impressione forte di questo rapporto tra segreto doloroso e accettazione dell'"inganno consueto", mi conferma nell'idea dell'incomunicabilità della consapevolezza più profonda, dello sconvolgimento che genera terrore e barcollamento "di ubriaco" in chi porta, serbata nel cuore, la verità senza poterla comunicare.
 
Lo spunto, da questa poesia, voleva essere anche un altro, non solo il rapporto tra Montale e Leopardi o tra Montale e Platone, che non scopro certo io.
Voleva essere, tramite l'accostamento delle parole "miracolo" e "nulla", un portarsi verso la parola "emergenza", ciò che emerge, parola cara a chi si occupa di complessità.
 
Montale e Leopardi per tutta la vita hanno cercato di capire, hanno tentato di esprimere la loro ricerca di verità sintetizzando con il genio la consapevolezza della terribile realtà da cui veniamo.
Hanno visto nella poesia la via di fuga, la maglia rotta nella rete, che rende la vita sopportabile e accettabile.
Hanno individuato, dall'indifferente caos della natura, l'emergere di un miracolo che non c'entra nulla con la sua origine, essendo quest'ultima l'estremo opposto: il vuoto assoluto, desertico, arido come la costa nera di un vulcano.
 
Ma da questo nero nulla, di cui pur si rendono entrambi conto, nasce la ginestra, che spande sulla cenere e sulla lava rappresa, il suo profumo vitale.
Emerge, dalla morte assoluta, la vita come un "miracolo". Tra tutti gli eventi possibili, si verifica il più improbabile e si rivela misteriosamente solo ad alcuni, che devono nasconderne il segreto.
 
La verità emerge inaspettata dalla relazione di milioni di cause che agiscono contemporaneamente formando un "garbuglio" gaddiano inestricabile.
L'uomo di genio riesce a coglierne l'emergenza, riesce a sintetizzarne il senso ultimo e tenta di esprimerlo pur sapendo della sicura incomprensione altrui.
Come il prigioniero della caverna platonica che esce al sole scoprendo la verità, quando rientra e tenta di convincere i suoi compagni, cerca di liberarli, viene minacciato e ucciso, così il poeta sa che dovrà pagare un prezzo alto per la sua scoperta: la solitudine.
 
E si strugge pensando alla felicità del non sapere: "Ah l'uomo che se ne va sicuro agli altri ed a sé stesso amico, e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro!" (Montale - Ossi di seppia - Non chiederci la parola... 1925).
Rimane in fondo all'anima la fierezza di affrontare questo destino, l'accettazione di un ruolo incompreso e incomprensibile, quello di chi dubita, di chi può solo dire ciò che non è, ciò che non vuole essere.
 
A noi che leggiamo e che ci facciamo accompagnare lungo quello scalcinato muro, noi che sentiamo forte il sentimento della vita che ci scorre dentro, anche noi cerchiamo il momento più adatto, l'apertura impensata, "in questi silenzi in cui le cose/ s'abbandonano e sembrano vicine/ a tradire il loro ultimo segreto,/ talora ci si aspetta/ di scoprire uno sbaglio di Natura,/ il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,/ il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/ nel mezzo di una verità."
(Montale - Ossi di seppia - I limoni 1925).

Leretico

Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

[Montale - Ossi di seppia, 1925]
 
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