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14 Settembre 2012, 09.00

Lettere

No Nukes per sempre

di Alessandro Davini
Con le parole di una bella canzone di Jackson Browne una riflessione sull'ennesimo incidente nucleare avvenuto in Francia qualche giorno fa, sperando che sia stato "piccolo" per davvero.

Ricorre in questi giorni il trentottesimo anniversario della pubblicazione dell’album “Late for the sky” di Jackson Browne, un musicista autore di canzoni meravigliose e supportate da una musica raffinata, ma curiosamente diventato famoso quando ha cantato pezzi scritti da altri, l’assai corposa “The road” (tradotta e cantata magnificamente in italiano da Ron con il titolo “Una città per cantare”) e l’effimera “Stay”.
 
Lo sparuto gruppo dei miei lettori, qualora davvero esista, si chiederà certamente cosa mi salta in mente di parlare di un semisconosciuto cantastorie californiano e di un album certamente non tra i più gettonati.
La risposta non soffia nel vento e potrebbe essere, citando un altro grande poeta-musicista, che settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età e dopo l' estate porta il dono usato della perplessità.
 
La risposta vera è in realtà un'altra.
 
L'altro giorno in Francia vi è stato un altro incidente in una centrale nucleare e sui giornali se ne è parlato poco o punto.
Speriamo si tratti di poca cosa, ma questa gara a non informare insospettisce non poco.
Ho letto anche da qualche parte che qualcuno in Italia ha ancora pruriti nuclearisti, nonostante i tanti disastri avvenuti e nonostante noi italiani abbiamo decretato con percentuali bulgare in due referendum che le centrali non le vogliamo proprio.
 
Basta consultare Wikipedia alla voce “disastri nucleari” appunto, per rimanere allibiti di fronte al numero degli incidenti (eufemismo) che non si è potuto nascondere.
Quanti quelli che ci sono stati tenuti nascosti? Quanti gli esperimenti nucleari fatti in segreto nelle immensità inaccessibili degli oceani, dei deserti, delle steppe subpolari?
Quanto cesio e quanto plutonio respiriamo, ingurgitiamo, beviamo, assorbiamo ogni giorno?
A tutto questo è connesso il fatto che nel disco di Jackson Browne vi è la canzone “Before the deluge” dove il poeta ci parla con toni visionari della pioggia nucleare e del day after.
 
Ecco, io vorrei che i vari Chicco Testa e gli altri filo nuclearisti più o meno convinti e più o meno prezzolati, ascoltassero una sola volta questa canzone, dominata dal pianoforte di Jackson e dal violino elettrico di David Lindley.
Forse – dico forse conoscendo la protervia dei soggetti – ci penserebbero due volte prima di dichiarare che “a Chernobyl in fondo ne sono morti solo venticinque”, evocando sinistramente un altro tristo figuro che “aveva bisogno un migliaio di morti per sedersi al tavolo della pace” (sic!).
 
A me, e spero a molti altri, la canzone mette la pelle d’oca tutte le volte che la ascolto, per quanto è bella e per il suo significato.
L’assolo finale di violino di Lindley, specie nelle versioni dal vivo, vale da solo il prezzo del biglietto.

Ecco il testo:
Some of them were dreamers
And some of them were fools
Who were making plans and thinking of the future
With the energy of the innocent
hey were gathering the tools
They would need to make their journey back to nature
While the sand slipped through the opening
And their hands reached for the golden ring
With their hearts they turned to each other's heart for refuge/ In the troubled years that came before the deluge
Some of them knew pleasure
And some of them knew pain
And for some of them it was only the moment that mattered
And on the brave and crazy wings of youth
They went flying around in the rain
And their feathers, once so fine, grew torn and tattered
And in the end they traded their tired wings
For the resignation that living brings
And exchanged love's bright and fragile glow
For the glitter and the rouge
And in the moment they were swept before the deluge
Now let the music keep our spirits high
And let the buildings keep our children dry
Let creation reveal its secrets by and by/ By and by...
When the light that's lost within us reaches the sky
Some of them were angry
At the way the earth was abused
By the men who learned how to forge her beauty into power
And they struggled to protect her from them
Only to be confused
By the magnitude of her fury in the final hour
And when the sand was gone and the time arrived
In the naked dawn only a few survived
And in attempts to understand a thing so simple and so huge
Believed that they were meant to live after the deluge
Now let the music keep our spirits high
And let the buildings keep our children dry
Let creation reveal its secrets by and by/ By and by...
When the light that's lost within us reaches the sky

Mai come adesso vorrei essere Fernanda Pivano, Salvatore Quasimodo o Vincenzo Monti per offrire una traduzione capace di tenere testa alla forza poetica dell’originale.
Temo che, cari lettori, dobbiate accontentarvi di qualcosa di molto più modesto, purtroppo per voi e per me.

Alcuni di essi erano dei sognatori
Alcuni di essi erano degli sciocchi
Che facevano piani e pensavano al futuro.
Con la forza dell’innocenza
Mettevano insieme gli attrezzi
Necessari al loro viaggio di ritorno alla natura.
Quando la sabbia scivolò attraverso l’ apertura
e le loro mani raggiunsero l’anello dorato
Con i loro cuori cercarono rifugio nel cuore dell’altro
Negli anni travagliati che arrivarono prima del diluvio.
Alcuni di essi conobbero il piacere
E alcuni conobbero il dolore
E per alcuni era arrivato il momento decisivo
E sulle ali coraggiose e pazze della giovinezza
Si misero a volare nella pioggia
E le loro piume, un tempo così belle, cadevano a brandelli
Ed alla fine scambiarono le loro ali stanche
Con la stanchezza del vivere
E scambiarono l’ardore chiaro e delicato dell’amore
Con lustrini e belletto
E in un attimo furono trascinati via prima del diluvio
Lasciamo che la musica sostenga i nostri cuori
E lasciamo che i nostri bambini stiano in casa all’asciutto
Lasciamo che la creazione riveli i suoi segreti poco a poco
Poco a poco
Quando la luce che si è perduta tra di noi arriva al cielo.
Alcuni di loro erano arrabbiati
Per come si violentava la Terra
Da parte degli uomini che imparavano come trasformare la sua bellezza in energia
E si adoperavano per proteggerla da essi
Solo per rimanere disorientati
Dalla vastità del suo furore nell’ora finale.
E quando la sabbia se n’era andata e l’ora scoccò
Nella nuda aurora solo pochi sopravvissero
E cercando di capire una cosa così semplice e così smisurata
Credettero di essere stati designati a vivere dopo il diluvio.
Lasciamo che la musica sostenga i nostri cuori
E lasciamo che i nostri bambini stiano in casa all’asciutto
Lasciamo che la creazione riveli i suoi segreti poco a poco
Poco a poco
Quando la luce che si è perduta tra di noi arriva al cielo.

Alessandro Davini

 
Eccola, per chi volesse ascoltarla
 

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