Piccoli cenni

 

Quando non ne posso più ascolto un brano e so che tutto passerà.

Basta studiare di cosa si nutre l’esecuzione di uno stesso brano in diverse età attraverso lo sfinimento filologico di chi interpreta lo spartito e vedi come diventa sottile l’intesa tra l’autore e i suoi esecutori.

 

Per farsi conoscere il direttore gioca con o senza bacchetta, esaspera e sorprende, s’immischia di gesti già saputi: la saggezza abbassa il corpo a spirito, uno sguardo, una goccia di sudore più lenta, un dito che si allunga fremono di tutto lo scibile e saziano di sentimento tutto lo spazio orchestrale.

 

Mi è capitato di seguire un’interpretazione del Bolero di Ravel del maestro Sergiu Celibidache, vecchio e malato seduto di sghimbescio su uno sgabello, il massimo della compagine orchestrale guidato solo da uno sguardo più alto e da una mano che non segue più il braccio, piccoli cenni che fanno venire la febbre e che lasciano libero l’orchestrale di assaporare il colore e la pienezza dello scarno motivo geniale dell’autore.

 

Non c’è bisogno di ridondanza, anzi la purezza del poco gesto ha spalancato la consapevolezza dello spartito e dell’emozione che vuole portare con sé.

Lezioni di democrazia, un posto dove riposare un attimo prima rituffarsi nella melma quotidiana.