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30 Agosto 2013, 12.25

Lo Spaccadischi

Intervista a Julico

di Davide Vedovelli
Quest'incontro è avvenuto a parecchi chilometri di distanza. Julico si iscrive a Musica da Bere e subito le sue canzoni attirano la mia attenzione.

Qualche giorno dopo sarò ad Ancona per il matrimonio di Alessandra e Daniele, e a suonare ci sarà proprio lui, che è un carissimo amico dello sposo. Si sa che ai matrimoni causa vino e parenti è difficile sostenere discorsi organici per più di due minuti e mezzo, e allora mi riprometto di contattarlo con calma per fare quattro chiacchiere. Nelle sue canzoni si sente il sole, la strada e la speranza. Eccoci qui: cominciamo con le presentazioni però.

Julico si chiama in realtà Julián Corradini, viene da una famiglia di musicisti, è laureato sia in Lingue che in Economia e di mestiere fa il chitarrista. Si possono scrivere molte cose su di lui: nato a Mar del Plata, Argentina, cresciuto nelle Marche, autore, compositore, viaggiatore, percussionista, cercatore, scrive e suona con numerosi artisti a livello nazionale e internazionale.

Quello che invece lui vuole de-scrivere, con le sue canzoni, è una storia che i figli emigranti di genitori emigranti conoscono bene: ciò che può scaturire dalla profonda dualità che si crea quando un bambino viene portato via dal suo luogo di nascita e impiantato in un altro, “provvisoriamente per sempre”. Cresce, diventa grande, si fa degli amici, ha una famiglia, un idioma con il quale si esprime, dialoga, s’arrabbia, ride, scherza, sogna; torna, più o meno spesso, nella sua terra natale dove ha altri amici, altri parenti, un’altra lingua con la quale comunica, parla, gioisce, piange, pensa. Durante uno di questi -ultimi- viaggi si rende conto che laggiù, in un certo senso, è anche un’altra persona. Intuisce che si è creato due posti, due dimensioni, due mondi. Decide, così, di prendere 10 tra le sue canzoni nel cassetto, cinque in italiano e cinque in spagnolo, e di farne un album, uscito nel 2013: “Doble Mundo - Doppio Mondo”.

1) Se dovessimo immaginare la tua musica come un viaggio dove andremmo?
A casa, se si è lontani, e lontano, se si è a casa.

In compagnia di chi?
Anche da soli.

Cosa dobbiamo mettere in valigia?
Qualcosa di utile e qualcosa di futile: scarpe forti, da mangiare, una foto, qualcosa su cui scrivere e i sassi colorati trovati nel cammino.

2) Qual è la parte più difficile del tuo lavoro? scrivere? suonare? farsi conoscere?
Forse qualcosa che le accomuna tutte, ovvero la duplice e severa regola di dover guardare gli altri e il mondo per migliorare ed evolvere ogni giorno e al tempo stesso guardarsi e restare sé stessi.

3) Progetti in cantiere?
Una tournée in Centro e Sud America in autunno.

4) C'è un episodio, una canzone o un libro che ti hanno convinto a percorrere questa strada tortuosa?
Mentre finivo l'Università ho viaggiato da solo per qualche mese in Sud America poi sono andato in Erasmus in Belgio. Per farla breve, in Cile ho capito che nella vita dovevo fare qualcosa di "utile", anche se avevo una voglia matta di suonare e scrivere. Quando sono arrivato a Bruxelles, davanti a una birra una ragazza mi ha detto: "ma suonare è utile!" ...Bingo.

5) Dove affondando le tue radici musicali?
Nella mia famiglia. Nonno bandoneonista, padre e zii chitarristi, zio pianista, fratello polistrumentista, madre animatrice. Ho studiato economia, poi ho dato retta al sangue. Non puoi capire quanto sia benevolo farlo.

6) Il tuo vizio preferito?
Domanda difficile per uno che ha molte passioni: diciamo che vado a periodi. Ultimamente rompo le scatole leggendo i fondi del caffè, forse per vanità... "Decisamente il mio vizio preferito".

7) Come tradizione dello Spaccadischi l'ultima domanda puoi farla tu a me.

Non vedevo l'ora. Ma secondo te, viviamo tutti in un sottomarino giallo?

Secondo me sì, ma è talmente grande che non ce ne accorgiamo e servite voi, artisti, musicisti e poeti per darci altre prospettive e nuovi punti e “spunti” di vista. Grazie mille buona strada.

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