In strada

Sarà che le nostre abitazioni diventano precarie e con spazi ridimensionabili a seconda delle poche ore che trascorriamo a casa, a seconda dell'età media dei familiari abbarbicati a orari d'incontro sempre più complicati e con priorità ed esigenze spesso incongruenti ad una serena comunicazione.

Sarà che i luoghi istituzionali subiscono il deterioramento naturale del tempo che rovina e scandalizzati ci rifiutiamo di riconoscere la prossima Pompei che decade (in compagnia di scuole, ospedali, chiese e palazzi noti).

Sarà che siamo stufi di permessi e garanzie, di assicurazioni e di portinerie, di ingressi privati e padronali, di tasse di passaggio perfino dal corridoio d'entrata alla porta del bagno: sarà forse per questo ed altro ancora che il nostro sguardo cerca sempre più spesso una strada, una piazza, un largo con il cielo sopra e possibilmente con del verde di contorno o un pezzo d'azzurro acqueo.

Così guardo i segni del tempo che suggeriscono a gran voce attività "esterne", salutari come correre e camminare, come lavorare seduti su di una panchina invece che in ufficio, come fare scuola cambiando le regole sull'intemperanza giovanile del dover stare fermi nel banco, sull'ascolto di un concerto classico nel traffico cittadino con lo sfondo sonoro di ambulanze e claxon, di un panino farcito ultraproteico per tutti i gusti di furgoni itineranti .

Sicuramente non c'è un meglio o peggio tra i due modi di attraversare la vita che diventa sempre più articolata proprio per le regole diverse che propone la geografia delle nostre attività: sempre che abbiamo voglia di giocare i confini delle nostre suscettibili tolleranze.