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14 Settembre 2014, 07.51

Quaderni di Cinema

«Si alza il vento», bisogna tentar di vivere

di Nicola 'nimi' Cargnoni
Dopo un anno dalla presentazione al Festival di Venezia 2013, arriva nelle sale (per un evento speciale dal 13 al 16 settembre) l’ultimo lavoro di Miyazaki

L’ultimo film-animazione del regista giapponese Hayao Miyazaki giunge prima a Venezia e, solo un anno dopo, nelle sale italiane, accompagnato dall’ennesimo annuncio di ritiro da parte del Maestro.
Stavolta abbiamo a che fare con un Miyazaki atipico, che realizza un film biografico sulla vita dell’ingegnere aeronautico giapponese Jiro Horikoshi, in attività dagli anni Trenta in poi.

Proprio la scelta della biografia
fa di questo lungometraggio un’eccezione nella carriera del regista: lontano dal linguaggio favolistico a cui ci aveva abituati, Miyazaki realizza il film più “personale” della sua carriera (il regista è figlio di un ingegnere aeronautico), un film a impianto fortemente tradizionale e narrativo, stavolta davvero destinato solo a un pubblico di adulti.

Se, infatti, i suoi lavori precedenti (e inarrivabili) si risolvevano nell’arco temporale della fiaba e nello spazio indeterminato e confuso tra sogno e realtà, in «Si alza il vento» i tempi sono rigidamente scanditi e gli spazi definiti in maniera netta; a partire dalla dimensione onirica, naturalmente presente (la vocazione al sogno non mancherà mai in un lavoro del Maestro giapponese) ma ben distinta dalla dimensione della narrazione realistica.

Ritorna l’antica e risaputa passione di Miyazaki
per il volo e gli aeroplani della prima metà del XX secolo, con un occhio di riguardo per le eccellenze italiane (ed europee) di quel tempo.
Jiro, da piccolo, incontra in sogno il conte Caproni, un progettista aeronautico italiano, che lo esorta a inseguire il sogno di progettare aeroplani.

Ritroviamo quindi uno Jiro cresciuto, che si avvia a una brillante carriera di progettista aeronautico; la prima parte del film è interessante, grazie anche all’elemento onirico che prorompe spesso sulla scena, creando anche un senso di fiabesco smarrimento dello spettatore, richiamando il Miyazaki a cui eravamo abituati.
La seconda parte, invece, molto “allungata”, lascia spazio a una storia d’amore abbastanza stucchevole, con la dolce (e tubercolotica) Naoko.

Nel frattempo l’ingegnere aeronautico continua ostinato nella sua impresa, fino al perfezionamento del famoso Mitsubishi A6M “Zero” (quello usato dai kamikaze, per intenderci); ma la narrazione ci porta molto poco tra i cieli, insieme agli aeroplani, tenendoci ben ancorati a terra a seguire una struggente storia d’amore e di malattia, che francamente non ci si aspetta di vedere in un lavoro di Miyazaki. 

Come non ricordare altre “storie d’amore” presenti nel suo cinema (Mononoke, Kiki, il castello di Howl, …) o la madre malata dei protagonisti di Totoro: amore e malattia che erano, però, visti col disincanto fiabesco, senza passare sotto la lente di ingrandimento del melenso e del patetico, o senza contatti (più o meno) espliciti.

Tra l’altro si dovrebbero segnalare alcune scene e situazioni (che per correttezza non riporto) che rimangono “incomplete” e senza soluzione, che lasciano lo spettatore con più di qualche dubbio, che sembrano essere state messe come pretesti o come puri micro-episodi storici fini a sé stessi.
Compresi anche alcuni personaggi che appaiono e scompaiono, senza apportare nulla di più alla trama narrativa: e ciò va davvero oltre l’atipico, per Miyazaki.

Nel complesso, però, si può parlare di una buona opera che si sviluppa e si scandisce sul verso preso a prestito dal poema «Cimitero marino» di Paul Valery: «Si alza il vento, bisogna tentare di vivere».
Questa frase, infatti, racchiude in sé il senso del film: Jiro progetta aeroplani, che però verranno usati come strumenti di morte, e vive un amore destinato all’infelicità; nonostante questo, non è mai domo e lo vediamo inseguire il proprio sogno con ostinazione, passione e ottimismo. Lui ama gli aeroplani, per questo li vuole progettare, indipendentemente dall’utilizzo che ne verrà fatto.
Nei suoi sogni i bombardieri trasportano persone e gli aeroplani non sono armati.

Alla fine qualche piccolo brivido percorrerà anche la schiena dello spettatore più spietato, anche grazie alla oggettiva “bellezza” del personaggio di Jiro, probabilmente uno dei migliori realizzati dal regista giapponese, anche grazie alle continue analogie tra il progettista e il disegnatore, sulla base del desiderio di “creare sogni e far sognare”.
Ma questo potrebbe importare se valutassi il film solo in maniera emotiva.

C’è da ammettere, però, che dal punto di vista cinematografico il film storico-biografico di Miyazaki è deboluccio, forse doveva lavorare per sottrazione anche sulla durata.
Inoltre, non meno importante, nessuno nega che Miyazaki possa realizzare biografie “storicamente vere” (pur rammentando che il cinema è sempre finzione, a maggior ragione l’animazione), ma ha i mezzi, le capacità e i numeri per farlo usando lo stile a cui ci ha (bontà sua) abituati da sempre.

Nel complesso: ***.

Nicola “nimi” Cargnoni


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