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24 Maggio 2013, 09.20

Terza pagina

Un mal di denti salvifico

di Leretico
Secondo Marco Saverio Bobbio, notaio, personaggio di una famosa novella di Pirandello, non c'era niente che "poteva meglio disporre allo studio della filosofia, che il mal di denti"...
 
Sicuramente, sempre secondo Marco Saverio Bobbio, Schopenhauer doveva aver avuto più di un dente guasto.
Il notaio Bobbio, personaggio di una famosa novella di Pirandello intitolata appunto "L'avemaria di Bobbio", amante della filosofia, soffriva di frequenti mal di denti.
Da bambino andava in chiesa con fervore, ma poi, diventando adulto e studiando filosofia, aveva perso la fede.
 
Pirandello scrisse questa novella nel 1912 e si potrebbe pensare che avesse voluto contrapporre la religione cristiana al razionalismo scientifico di derivazione positivista oppure alla filosofia illuminista che ne era il fondamento. Non era così.
Egli non voleva fare un discorso religioso, né parlare di una religione in particolare. Una volta volle persino criticare il comportamento di chi appiccica l'etichetta di divino a tutto ciò che non riesce a conoscere affermando "che si chiami Dio quello che in fondo è buio pesto".
 
L'espediente della fede infantile di Bobbio gli serviva per continuare un discorso già affrontato nel saggio "Arte e coscienza d'oggi" del 1893, in cui emergevano i temi principali della sua poetica: la crisi di identità dell'uomo moderno, il fallimento della scienza nel risolverne i problemi ultimi, il teosofismo come risposta "spiritualista" alla crisi del positivismo.
Non disdegnò infatti, l'agrigentino Pirandello, di inserire fantasmi e spiriti nelle sue commedie e novelle.
E, per spiegare in parte la sua complessa posizione riguardo al momento storico in cui si trovava a vivere, non si deve dimenticare la personale tragedia della psicosi della moglie Antonietta a cui la scienza non era riuscita a porre rimedio.
 
Scrisse: "Noi a spegner l'ardore della nostra sete inestinguibile abbiamo frugate e aperte tutte le vene (alla madre terra). Cerchiamo in lei ciò che ella non può darci, e la guardiamo con occhio malevolo. Un solo tesoro ella può darci: l'amore - ma questo né ci fa ricchi, né ci appaga. Vogliamo altro: vogliamo sapere! E nelle cupe smanie dell'impotenza dispregiamo noi stessi e la terra, che pure ogni anno per noi si rinnova e pare che per noi voglia celar le rughe coi fiori. L'uomo strappa quei fiori e s'incorona di spine. Non son fatte per noi le primavere".
Il nostro voler sapere, insomma, ci uccide.
 
Insieme a Leopardi (1798 - 1837) e Schopenhauer (1788 - 1860) aveva letto anche Nietzsche (1844 - 1900) e gli era rimasto impresso quel drammatico "Dio è morto", simbolo della fine di ogni verità dominatrice e regolatrice del mondo, anticamera del relativismo disperato e della mancanza di senso della vita.
Non doveva essergli stato estraneo neppure Henry Bergson (1859 - 1941) e il suo rifiuto dell'immagine "meccanica e quantitativa della realtà". Forse il filosofo francese segnò l'immaginario di Pirandello con il valore dell'intuizione derivante dai concetti di durata e di memoria, rivendicazione del carattere "qualitativo" della realtà, contro l'idea meccanicistica, materialistica del determinismo razionalistico.
 
Ma torniamo all'avemaria di Bobbio.
Un giorno, mentre il notaio mangiava allegramente con parenti e amici presso una sua piccola tenuta di campagna, un mal di denti fortissimo lo colse a metà del pranzo, tanto che fu costretto a ritirarsi nella sua camera da letto per non disturbare gli amici e per riuscire a superare il dolore invadente che lo aveva colpito. Niente da fare: il dolore era troppo forte.
Decise così di andare immediatamente da un dentista in città e salito sulla sua carrozza, sulla via che dalla campagna portava al centro di Richieri, nei pressi di una santella, gli venne automatico il recitare un'avemaria, come se dal profondo fosse emerso nuovamente quel fervente religioso bambino che ormai non era più. Immediatamente il dolore sparì.
 
Bobbio rimase, lì per lì, molto sorpreso e si vergognò come una femminuccia di essersi messo a pregare.
Allo stesso tempo però era irritato per il fatto che l'avemaria sembrava aver avuto effetto.
Nonostante fosse scettico sulla cosa, qualche tempo dopo, leggendo gli Essais di Montaigne al capitolo XXVII dov'è dimostrato che "c'est folie de rapporter le vrai et le faux à notre suffisance", cioè che è follia mettere in rapporto il vero e il falso secondo il nostro volere o il nostro bisogno, si trovò in qualche modo ad ammettere che anche Sant'Agostino avrebbe potuto confermare che il notaio Bobbio "guarì una volta all'improvviso d'un feroce mal di denti, recitando un'avemaria...".
 
Proprio in quel momento, però, ebbe un altro attacco di mal di denti e, mandando al diavolo sia Montaigne che Sant'Agostino, corse dal dentista per eliminare definitivamente l'origine dei suoi dolori.
Nel tragitto provò nuovamente la preghiera dell'avemaria, questa volta la recitò persino in latino, ma non ne ebbe alcun beneficio immediato.
 
Così, con rigagnoli di sudore che gli scendevano sul pingue volto per lo sforzo della corsa e per il trattenimento vano del dolore, arrivò davanti all'entrata del dentista dove nuovamente e miracolosamente il dolore cessò.
Il notaio si arrabbiò talmente di quell'evento che imprecando disse ad un amico, che lo aveva in quei frangenti riconosciuto e salutato, che non solo si sarebbe fatto togliere il dente cariato ma che se li sarebbe fatti strappare tutti. Detto ciò, varcò definitivamente la soglia dell'ambulatorio dentistico.
 
Siamo certi che il nostro notaio Bobbio, insieme ai denti, avrebbe voluto farsi strappare anche i dubbi sull'influenza divina nella sua vita.
Siamo altrettanto certi che tutta la forza del racconto si gioca nel finale: il sentimento del contrario rende comica la situazione e contemporaneamente fa emergere ironicamente la pretesa certezza scientifica di Bobbio.
 
Tale conclusione ci fa riflettere sulla sua ironica validità: nonostante la scienza di oggi si sia dichiarata popperianamente "ipotetica", nonostante essa abbia abdicato al suo ruolo di guida della società della tecnica, c'è ancora chi, in nome di una filosofia senza dubbi, pensa di camminare in mezzo agli uomini con in mano la verità.
Speriamo in un mal di denti salvifico che ci dia ancora la possibilità di pensare e quindi di dubitare.

Leretico
 
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