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24 Febbraio 2014, 07.17

Eppur si muove

Renzi e il gallo sull'immondizia

di Leretico
Qualche giorno fa un amico mi sorprese con una frase molto evocativa. Riferendosi ad una persona di una certa futile arroganza, mi sussurrò: "sta come il gallo sopra un cumulo di immondizia"

La metafora è forte: sta ad indicare qualcuno che pensa di aver conquistato chissà quale obiettivo, mostrandolo con orgoglio e intendendo difenderlo a tutti i costi, che si rivela alla fine privo di qualsiasi valore.

Il gallo sull'immondizia è un'immagine triste
, e ci dispiacerebbe doverla associare al primo ministro Renzi appena nominato in questi giorni al ruolo pubblico e di potere più elevato della nostra democrazia.
La figura del gallo si confà adeguatamente al suo carattere, ai suoi movimenti, ma se lui è il gallo, il cumulo d’immondizia potrebbe essere l'Italia, paragone che ancora ci ostiniamo a non voler accettare.

Se pensiamo, però, alla terra dei fuochi, immediatamente la metafora si fa calzante; se pensiamo alla gestione dei rifiuti di Roma, lasciata in mano a certi personaggi come Cerroni, proprietario della discarica di Malagrotta, ci confermiamo nell'impressione di navigare sopra un mare di immondizia non solo fisica ma anche morale.

Allora questo nostro discutere, qui in queste pagine, vuole essere una sorta di elenco di consigli che vorremmo, forse immodestamente, far pervenire al nostro giovane Presidente del Consiglio in carica, per evitare che la metafora del gallo si concretizzi realmente, e che il suo salire a palazzo Chigi non diventi effettivamente un salire a dominio di un cumulo di future immondizie, di un mucchio di ineluttabili macerie.

Guardando le immagini del freddo e fugace passaggio di consegne tra Letta e Renzi ci siamo accorti che le cose non sono iniziate sotto i migliori auspici.
Renzi non è riuscito a guardare negli occhi il suo predecessore nel momento del passaggio del tradizionale campanello.
Si sentiva in colpa per aver promesso un appoggio malamente e proditoriamente sottratto dopo poco tempo e Letta non ha fatto nulla per non farglielo pesare. Siamo consci dunque che questo governo Renzi cominci da un "tradimento" e forse non basta a giustificazione l'urgenza dei tempi, la pressione delle dinamiche politiche.

Visto però che tutto ciò è già accaduto, può essere materia di giudizi non certo di consigli.
Per quelli bisogna partire in un altro modo, considerando quanto siano fondamentali i primi cento giorni di ogni governo. Sono come i primi anni di vita di un essere umano.
In quel lasso di tempo così come nell’uomo si formano il carattere e l’identità, così nei governi si consolidano le linee di sviluppo di tutto l'agire successivo e, quando le acque agitate del cambiamento cominciano a far scorgere il fondo del nuovo potere, ne determinano lo strutturarsi definitivo.

Lo abbiamo visto con Monti e purtroppo anche con Letta: i primi cento giorni hanno partorito tasse e galleggiamento, segni distintivi del loro potere e forse anche del loro carattere.
Niente riforme, continua concertazione anche per l'acquisto della carta igienica del Senato o della Camera; continui distinguo sul sesso degli angeli; riforme neanche a parlarne, anzi solo parlarne, come da buona tradizione politica italiana.

Nei primi cento giorni di Renzi vorremmo vedere invece “altro” e, anche se ci rimane dello scetticismo, tipico in chi ne ha viste troppe, vogliamo sperare che questo “altro” si materializzi in poco tempo, in atti che abbiano efficace impatto sui problemi reali della nostra malandata repubblica.

Il primo e imprescindibile intervento "rivoluzionario" dovrebbe essere il taglio di molte delle teste che comandano nella Pubblica Amministrazione.
Quelle teste che di fatto impediscono, omettendo i decreti attuativi, che le leggi di riforma divengano strumenti operativi.
Questi burocrati sono il vero ostacolo di qualsiasi azione politica innovatrice. Sono loro che decretano il fallimento di qualsiasi intervento a loro giudizio inviso.

Così ci aspettiamo che anche le prossime nomine, ormai in scadenza, alla guida delle grandi aziende di Stato non vadano nella direzione dei soliti noti, dei soliti boiardi che garantiscono i ponti di connessione tra poteri forti e guida del Paese.
Attendiamo invece “altro”, aria pulita. Altrimenti quale necessità c’era di sostituire Letta proprio in corrispondenza con questo momento determinante, se non per farlo diventare determinante, appunto, in un nuovo senso?

Il problema principale dell'economia italiana è legato alla carenza di domanda.
Il mercato interno è praticamente fermo, nessuno si azzarda a consumare più del dovuto.
Ne sia testimonianza l'aumento nell'anno 2013 dei depositi bancari, di privati e imprese, che hanno fatto registrare un paradossale +5% proprio nell'anno di peggiore crisi economica per l'Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Insomma, se ce qualcuno che guadagna dei soldi si guarda bene dallo spenderli, preferisce conservarli in banca.
Ci sentiamo, quindi, di consigliare a Renzi di mettere mano immediatamente a tutte quelle misure necessarie a far rimanere più soldi nelle tasche di chi è portato a spenderli, non a conservarli.
Più soldi, in pratica, nelle tasche dei giovani, che forse si vogliono sposare e mettere su casa, che hanno ancora voglia di fare e di imprendere e per questo hanno più propensione a investire, piuttosto che farli finire nelle mani di generazioni più anziane, più timorose per il futuro, più conservatrici per “modus vivendi et cogitandi”.

La domanda di beni e servizi infatti si alimenta attraverso la fiducia nel futuro e non si può certo chiedere di averne a chi per età anagrafica ha poco futuro davanti.
La ricetta però non può essere solo quella di rendere più flessibile il lavoro per i giovani, ossia chiedere che si accontentino di meno reddito pur di averne uno. Sappiamo quanti abusi sono derivati da questa impostazione.

Tale logica infatti non fa che aumentare la sfiducia per il futuro, proprio il contrario di quello che si vuole ottenere.
Mi piacerebbe vedere che, se un giovane è disponibile alla flessibilità, alla precarietà, questo sacrificio gli garantisca un reddito più elevato, connesso ad un rischio più elevato, quello appunto di rimanere presto senza lavoro. Sarebbe veramente una rivoluzione.

Non è l’alto costo del lavoro l’unico problema che indirettamente influenza la domanda.
Cercare di diminuire tale costo tagliando i salari è un errore perché il taglio inciderebbe direttamente sui consumi, già troppo bassi. Meno reddito disponibile per salari significa infatti meno consumi. Inoltre sarebbe un errore perché si premierebbero le imprese facendo loro ottenere una maggiore competitività senza che effettuino maggiori investimenti. Ma in un Paese in cui la burocrazia e le tasse rendono impossibili nuovi investimenti non si può che sperare nella diminuzione dei salari dei nuovi entranti, alimentando così un circolo vizioso che invece bisogna assolutamente arrestare.

Allora consiglierei a Renzi di evitare le figuracce di agire sul cuneo fiscale per la ridicola quantità di 18 euro all’anno, farebbe ridere nuovamente non solo i proverbiali polli, che non hanno ancora smesso dall’ultima volta, ma anche tutta la fattoria degli animali che ancora hanno qualche speranza di cavarsela.

Mi piacerebbe che le banche pagassero per i loro errori e che si istituisse la possibilità concreta di una class action nei loro confronti, come c’è in altri ordinamenti in giro per il mondo, in modo che il consumatore possa essere più tutelato e non vittima, come lo è oggi, dei monopolisti mascherati di turno.
Allora consiglierei a Renzi di fare una legge specifica in questo ambito, porterebbe maggiore fiducia, maggiori consumi e maggiore mercato.

Dovrebbe insomma portare un forte cambiamento negli equilibri mortiferi che si sono creati nel Paese, ma non un cambiamento insensato, senza ragione; anzi con la consapevolezza profonda, direi sistemica, di ciò che si sta compiendo.
Al posto dei 18 euro all’anno dovrebbe fare in modo che arrivino nelle tasche del ceto medio 500 euro all’anno, altrimenti nulla potrà accadere, nulla potrà cambiare.

E abbassando le tasse produrrebbe le condizioni per un aumento delle entrate fiscali nel tempo.
E’ la logica dello sviluppo che chiama altro sviluppo, mentre Letta e soprattutto Monti hanno incentivato il primo la depressione economica, il secondo il compromesso per galleggiare, in nome di una politica di austerità che avrà fatto piacere alla Merkel in Germania ma che qui, di fatto, ci impedisce di uscire dalla crisi.

Dimenticavo, siamo in Italia, sognare è lecito, sperare è religioso, credere che si faccia tutto questo un’utopia.
Consigliare non costa nulla, essere ascoltati un’illusione, ma sappiamo che fare la fine del gallo sopra il cumulo di immondizia avrebbe il sapore di un’amara sconfitta. Abbiamo ancora cento giorni per riservarci il giudizio e speriamo di cavarcela.
 
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