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24 Dicembre 2013, 07.57

Terza pagina

Democrazia e inquisizione

di Leretico
«La civiltà può sopravvivere solo se il potere riconosce e tutela i propri avversari, solo se i singoli si sforzano in ogni occasione di tutelare e difendere proprio chi la pensa diversamente»

Nel 1567 il Papa Pio V proclamò San Tommaso dottore della Chiesa. Nonostante tale scelta, durante il Rinascimento non si ebbero personaggi rilevanti nell'ambito del pensiero tomistico. Per trovarne bisogna cercare nell'aristotelismo "eterodosso", ossia in quelle correnti che si rifacevano ad Aristotele ma che non erano comunemente accettate (etero = altro; dosso da doxa = opinione quindi altra opinione).
Gli aristotelismi eterodossi erano soprattutto l'averroismo (da Averroè filosofo arabo spagnolo) e l'alessandrismo (da Alessandro di Afrodisia, greco, commentatore di Aristotele del II-III secolo d.C.). Il primo noto già nel Medioevo, il secondo espressione nuova del Rinascimento.
 
L'alessandrismo fu un vero cambiamento culturale per quei tempi, soprattutto perché propose una soluzione diversa sia dal tomismo che dall'averroismo sul tema dell'immortalità dell'anima.
San Tommaso sosteneva che l'anima fosse immortale e separata dal corpo, che invece sarebbe stato mortale.
Gli averroisti, d'altra parte, pensavano che esistesse un solo unico intelletto (l'anima) superindividuale e universale, di cui l'intelligenza (l'anima) dei singoli sarebbe stata solo una semplice e provvisoria manifestazione. Così l'uomo non possederebbe un'anima propria, ma parteciperebbe di uno spirito a lui superiore e da lui separato. L'anima riflessa nell'individuo morirebbe con lui.

Gli alessandristi avevano un'impostazione decisamente diversa: negavano l'anima universale averroista e concludevano che nulla dell'uomo può sopravvivere: né l'anima universale, né l'anima individuale, né il corpo.
Alessandristi e averroisti avevano alcune cose in comune, tra cui la posizione verso la religione: pensavano che la ragione dovesse essere completamente separata dalla fede. Credevano che ragione e fede possedessero ciascuna la propria verità indipendente, a differenza dei neo-platonici che tendevano a unificare filosofia (ragione) e religione (fede). Fu così che i platonici, a cominciare dal Quattrocento, dominarono l'Accademia fiorentina mentre gli aristotelici eterodossi dominarono le università di Padova e Bologna.
 
Le dispute tra aristotelici e platonici divennero famose sin da quei tempi, ciò nonostante non è importante chi avesse ragione oppure chi effettivamente uscì vincitore da quei raffinati confronti dialettici, spesso tenuti da uomini di grande valore intellettuale, ma il fatto che l'umanesimo del Quattrocento italiano avesse liberato energie intellettuali e morali straordinarie, base di quel Rinascimento che tutto il mondo ancora ci invidia e che fece diventare la terra italica la più ricca del mondo conosciuto in quei tempi.
 
Potremmo, senza tema di smentita, affermare che proprio la separazione di fede e ragione con la teoria della doppia verità, abbia dato un impulso eccezionale agli studi scientifici di Padova e Bologna, i quali generarono nel Cinquecento la fortuna e la ricchezza italiane.
Purtroppo sappiamo tutti come reagì la Chiesa: con il concilio di Trento del 1563 e con una politica, quella della Controriforma, intesa a combattere l'attivismo del protestantesimo luterano da un lato, e dall'altro a distruggere tutti quelli che avessero avuto opinione dottrinale o religiosa diversa da quella ufficialmente professata.
 
Condannò la riforma di Lutero come eresia e inaugurò una stagione tristemente memorabile di roghi, in cui perirono numerosi intellettuali e scienziati. Si ricordi la morte di Giordano Bruno nel 1600 o il processo inquisitoriale intentato contro Galileo nel 1633, che per fortuna non si tradusse con la morte dell'imputato ma comunque significò per lui l'esilio e il divieto di insegnare le tesi eliocentriche del copernicanesimo.

Se possiamo dire di aver imparato dei concetti validi da quelle lontane vicende, certamente dobbiamo enunciarne un paio: innanzi tutto che l'impulso al progresso che la ricerca scientifica è stata capace di infondere in quei tempi, se libera da pastoie statali o religiose, è stato veramente notevole. Suggerirei che il suo successo potrebbe essere di eguale portata nell'Italia odierna se quest'ultima fosse libera dai professori baroni e nepotisti così dominanti nelle nostre università.
 
In seconda battuta potremmo aggiungere un altro aspetto non meno importante per la crescita della società: la pluralità dei punti di vista, che produce ricchezza e intelligenza.
In questo secondo, ma massimo, principio si racchiude il segreto della democrazia, il motivo per cui essa è il solo sistema che garantisce il benessere al maggior numero di individui.
Lo si confronti con la gestione del potere della Chiesa nel Seicento e si potrà capire quali siano le ragioni della decadenza italiana di allora.
 
In conclusione, e vista la storia bimillenaria della nostra amata Italia, vorrei che si pensasse di più a quanto sia importante tutelare il pensiero e la possibilità di espressione di chi è contro l'opinione comunemente accettata e prima di tutto di chi individualmente non la pensa come noi.
 
La civiltà può sopravvivere solo se il potere riconosce e tutela i propri avversari, solo se i singoli si sforzano in ogni occasione di tutelare e difendere proprio chi la pensa diversamente. L'inquisizione significa morte e decadenza, non scegliamola come nostro destino. Nella difesa del nostro avversario sta la nostra salvezza.

Leretico
 

 

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