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01 Aprile 2014, 09.25

Eppur si muove

Due cretini sempre utili

di Leretico
La recente notizia che i servizi segreti erano implicati nel rapimento Moro sin dal 16 marzo 1978 ha  riacceso le polemiche sull'identità degli individui in sella alla Honda blu che spararono ad Alessandro Marini quella mattina in Via Fani.

Qualcuno ha voluto implicare "due cretini", sempre utili in queste occasioni.

La mattina del 16 marzo 1978, verso le 9:00 Alessandro Marini, in sella al suo ciclomotore dotato di parabrezza protettivo, si trovò al posto sbagliato nel momento sbagliato: scendendo lungo Via Fani, a Roma, si fermò a pochi metri dall'incrocio con Via Stresa impietrito per la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.

Raccontò un ora più tardi che due uomini erano scesi da una Fiat 128 targata Corpo Diplomatico, tamponata dalla Fiat 130 scura con a bordo il Presidente della DC Aldo Moro, e avevano sparato contro il conducente della stessa e contro il passeggero a suo fianco, mentre altri quattro uomini vestiti con divise blu da aviatori e pantaloni grigi sparavano con dei mitra sulla Giulietta di scorta che seguiva.

Dopo pochi secondi era comparsa in retromarcia una Fiat 132 blu da cui erano scesi due uomini che avevano prelevato Aldo Moro facendolo scendere dalla portiera posteriore sinistra della Fiat 130 per caricarlo sull'auto da cui erano appena smontati.
La Fiat 132 era in seguito ripartita girando a sinistra per Via Stresa mentre un'altra Fiat 128 la seguiva a breve distanza con altre due persone a bordo.

Mentre il Marini guardava le due auto allontanarsi, si avvide del sopraggiungere a distanza di pochi secondi di una moto Honda blu di grossa cilindrata guidata da un uomo con il passamontagna.
Sul sellino posteriore un ragazzo molto magro, che gli ricordò l'attore Edoardo de Filippo, sparò verso di lui alcuni colpi di mitra ad altezza uomo, ma il mitra si inceppò dopo i primi colpi e perse il caricatore lungo Via Fani.

Marini si salvò cadendo dal ciclomotore su un lato.
I proiettili a lui destinati perforarono il parabrezza del motorino e per fortuna non aggiunsero un'altra vittima alla strage di Via Fani in cui persero la vita, purtroppo, i cinque uomini della scorta di Aldo Moro.
Nonostante la testimonianza di Marini, dopo trentasei anni, cinque processi e centinaia di audizioni, non si è ancora arrivati ad una verità definitiva sul numero e sull'identità di tutti i partecipanti all'agguato di Via Fani, né sul percorso preciso che fecero i terroristi dopo il " tragico prelevamento".

Molti dubbi rimangono sull'identità dei due individui sulla moto Honda, anche se una verità giudiziaria è stata pur raggiunta: i brigatisti rossi sono stati infatti condannati anche per il tentato omicidio di Alessandro Marini, nonostante abbiano sempre dichiarato di esserne estranei.

Inoltre, da una testimonianza del terrorista Raimondo Etro, condannato nell'ultimo processo Moro quinquies a vent'anni e sei mesi di carcere, sembra che Rita Algranati, latitante brigatista della prima ora, estradata in Italia dall'Algeria via Egitto nel 2004 per scontare diversi ergastoli, tra cui quello per aver svolto il ruolo di vedetta nella strage di via Fani, si sia lasciata scappare la seguente frase: "Poi passarono i due cretini", intendendo indicare che sulla moto Honda quel giorno ci fossero Giuseppe Biancucci e Roberta Angelotti (detti anche Peppe e Peppa), incontrati e conosciuti come "autonomi" negli anni della militanza nel Collettivo di Via Volsci e già da allora indicati come "i due cretini".

In ogni caso esistono molti dubbi anche su questa ricostruzione, tanti dubbi che all'apparire sull'Ansa della notizia che i due individui sulla famosa Honda sarebbero stati dei servizi segreti, si è tornati a parlare di questa storia.
I giornali si sono nuovamente divisi tra chi ritiene la notizia infondata e chi invece gli dà credito.

Certo è che vari elementi in tutta la vicenda Moro non sono ancora stati chiariti.
I dubbi sorgono da alcuni fatti accertati ma mai correttamente incastonati all'interno della geometria politica e storica del rapimento e dell'uccisione del Presidente della DC.

Innanzi tutto non si spiega lo scopo della presenza di un colonnello dei servizi segreti, Camillo Guglielmi, in via Stresa alle 9:00 di quel fatidico 16 marzo 1978. 
Lo stesso colonnello sembra fosse uno degli addestratori dei corsi speciali organizzati dal Sid (Servizio Informazioni Difesa) presso il quartier generale di Gladio a Capo Marrargiu in Sardegna.
"Risulta che Guglielmi si sia recato in via Fani su richiesta del generale Musumeci, ai vertici del Sismi insieme al generale Santovito, sulla base di un'informazione ottenuta da un infiltrato nelle BR" (Il Caso Moro - Un dizionario italiano - Stefano Grassi - 2008).

La storia raccontata dall'Ansa ricollega gli agenti segreti sulla moto Honda al colonnello Guglielmi rendendola quindi plausibile.
Un altro fatto inquietante è il black-out telefonico che colpì la zona di Via Fani proprio quella mattina fatale. Anche il più scettico ammetterebbe in questo caso l'improbabilità di una coincidenza così vantaggiosa per i terroristi.
Si aggiunga il fatto che molti appartamenti allo stesso piano del covo di Via Gradoli 96, scoperto il 18 aprile 1978, fossero di proprietà di una società riconducibile ai servizi segreti, come lo erano alcuni immobili di Via Caetani, dove il 9 maggio successivo fu ritrovato il corpo di Moro.
E si può facilmente comprendere perché più di un sospetto sia stato ventilato sul coinvolgimento attivo dei servizi segreti in questa tribolata storia.

A supporto di queste convinzioni ci sono le menzogne che i terroristi dissero in tutte le audizioni e i processi cercando di nascondere e proteggere nel tempo i loro sodali, approfittando della necessità della politica di arrivare ad una versione indolore e non destabilizzante dell'intera storia del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro.

Ricordiamo in questo senso la vicenda sorprendente di Germano Maccari, terrorista carceriere di Moro, sotto le mentite spoglie dell'ingegner Altobelli, forse unico esecutore materiale dell'assassinio del Presidente DC quella mattina del 9 maggio 1978 nel garage dell'appartamento in via Montalcini a Roma.
Prima di morire per un aneurisma cerebrale il 25 agosto 2001 nel carcere di Rebibbia, Maccari avrebbe confessato ad un compagno (Lanfranco Pace) di avere dovuto, quella tragica mattina, agire da solo, sparando a Moro nel bagagliaio della R4 rossa con una mitraglietta Skorpion perché sia Moretti che Gallinari non avevano avuto il coraggio di farlo.

Mario Moretti solo nel 1993 ammise la presenza di Maccari in via Montalcini, usando questa confessione come moneta di scambio per poter ottenere le cure per Prospero Gallinari, malato di cuore.
Quest'ultimo fu trovato morto nel gennaio 2013 sulla sua auto nel garage di casa a Reggio Emilia forse a causa di un malore.

Insomma la storia raccontata dai terroristi non può essere presa come verità storica, se non per una parte.
In questo contesto così frammentario la notizia dei due presunti agenti segreti sulla Honda in Via Fani, assume quindi una rilevanza straordinaria, perché potrebbe aprire un capitolo nuovo, finora colpevolmente ignorato.

Una trama che collega l'evasione di Gallinari nel 1977 dal carcere di Treviso alla strategia della tensione incominciata con Piazza Fontana nel 1969, continuata con Piazza della Loggia nel 1974 e con la stazione di Bologna nel 1980.
Strategia che prevedeva prima la polarizzazione dei campi (destra e sinistra) attraverso attentati e incentivazione del terrorismo prima di destra e poi di sinistra, per poi pretendere l'introduzione di un regime autoritario proprio per contrastare ciò che subdolamente era stato lasciato libero di agire, e di crescere, provocando migliaia di vittime innocenti.

In questo quadro così dipinto avrebbero senso molti eventi, molti silenzi.
Diverrebbe chiaro il significato del falso comunicato n.7 del 18 aprile 1978 redatto dall'ambiguo falsario Tony Chicchiarelli, morto in circostanze poco chiare nel 1984, come diverrebbero altrettanto chiare altre piccole vicende volontariamente dimenticate, in difesa di un interesse ancora presente nella gestione del potere italiano del 2014. Ora come allora si cerca di coinvolgere i soliti "due cretini" pur di sminuire l'impatto di una notizia che, se fosse vera, avrebbe quanto meno del clamoroso.

Anche Maria Fida Moro, figlia del Presidente assassinato dalle BR, è convinta che la storia di suo padre, con il tragico epilogo del suo rapimento, non sia ancora stata raccontata nel modo giusto.
Dopo anni di approfondimento, non possiamo che essere d'accordo con lei.

Leretico
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