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21 Aprile 2023, 16.00

Blog - Aqua Alma

Acqua e sport: una relazione conflittuale 2

di Mariano Mazzacani
L'elenco degli sport nemici dell'ambiente è molto lungo e comprende, abbastanza naturalmente, tutti gli sport motoristici (emissioni assolute di carbonio) così come gli sport acquatici motorizzati (consumo di carburante e interruzione della biosfera). Ma vi sono attività sportive che possono trarre in inganno

E' emblematico l’esempio del Golf visto che non è così “verde” come lo fa sembrare il “green”, infatti i campi da golf appaiono verdi ma non lo sono.

Questo sport
– inventato nel 1500 dai pastori scozzesi, tra le erbose colline della loro piovosa e poco abitata terra, colpendo con bastoni palle di lana di pecora – oggi trasferitosi in territori meno idonei diventa una seria minaccia per l’ambiente.

La costruzione di green comporta il consumo di ingenti risorse idriche, l’uso massiccio di pesticidi e talvolta deforestazione e sbancamenti. A questi impatti vanno sommati anche quelli che, per i progetti di nuovi “green”, sono spesso il pretesto per speculazioni immobiliari: club con bar, ristoranti e piscina e spesso foresterie (veri alberghi) per ospitare i giocatori. Il risultato è l’alterazione del paesaggio, riduzione della biodiversità e conflitti con agricoltura e allevamento.

Il danno è maggiore quanto più è arido il territorio coinvolto. Non è paragonabile l’impatto sulle risorse idriche di un Green realizzato nelle umide terre d’Albione piuttosto che nella arida Andalusia visto che un campo da golf tradizionale a 18 buche consuma in media, secondo stime della European Golf Association, 2000 metri cubi di acqua al giorno: il fabbisogno di 8000 persone o il necessario per produrre 2 tonnellate di grano.

A livello mondiale, la “culla del golf” è rappresentata dai paesi anglosassoni e del Nord Europa, favoriti dalla lunga tradizione e dalle idonee condizioni climatiche, in particolare l’elevata piovosità di cui essi godono.

Nei paesi mediterranei, invece, le scarse piogge e l’elevato rischio di desertificazione ne dovrebbero sconsigliare l’espansione con gli stessi ritmi di sviluppo, a causa dell’impatto ambientale che potrebbero provocare. La crescita del golf in Italia, in termini di impianti, presenta incrementi quasi esponenziali.

È piuttosto diffuso nel Nord
, soprattutto nella Pianura Padana, con il 52% delle strutture golfistiche localizzate tra Lombardia, Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Nel Centro Italia, il numero degli impianti è maggiormente dislocato in Toscana e nel Lazio; circa il 13% si trova al Sud e nelle Isole.

Il consumo di acqua rappresenta uno degli aspetti fondamentali nella gestione di un campo da golf. È difficile fare delle valutazioni precise, ma secondo la Federgolf, nelle condizioni climatiche italiane, si può stimare un consumo medio annuo di circa 100.000 metri cubi per un impianto medio con una superficie totale di circa 60-75 ettari e considerando un consumo idrico incentrato soprattutto nei mesi di luglio e agosto (dove si possono prevedere sino a 24-25.000 metri cubi di acqua consumata per ciascun mese).

Nel Sud Italia questi valori possono aumentare del 50-60%, arrivando a circa 40.000 metri cubi. Al consumo di acqua si aggiunga che un campo da golf può indurre forti impatti anche sulla qualità delle acque sotterranee, ossia quella contenuta nella falda acquifera - in funzione della quantità di pesticidi, fitofarmaci e diserbanti necessari al mantenimento del green.

La costruzione di un campo da golf comporta un incremento dell’uso del suolo, per esempio, un campo da golf a 18 buche di medie dimensioni usa o consuma circa 60 ettari di suolo, di cui il 50% circa richiede un’attività manutentiva di intensità medio-alta o altissima.

Inoltre, l’abbattimento del manto vegetazione esistente, l’eccessivo trattamento chimico del terreno nonché la rilevante richiesta idrica possono essere all’origine di un processo di desertificazione o del peggioramento dello stato del suolo. Un altro fenomeno è quello della salinizzazione della falda idrica.

Un golf course a 18 buche comporta un elevato consumo di territorio: da 50 a 60 ettari per campo. Significa che in Europa quasi 400.000 ettari sono dedicati a questo sport: troppo per un’attività elitaria che riguarda una minoranza estrema della popolazione (in Italia lo 0,16%).

Accade spesso che
la realizzazione di un campo da golf in prossimità delle aree costiere comporti l’apertura indiscriminata di nuovi pozzi, utilizzati per assicurare la sua conservazione, con conseguente aumento del rischio di salinizzazione della falda idrica sotterranea e pericoli per l’uso potabile e agricolo.

In termini di biodiversità, la costruzione di un campo da golf inevitabilmente va a modificare la vegetazione e gli habitat preesistenti nell’area, con ricadute negative sui delicati equilibri biologici di flora e fauna, sulle catene alimentari e sulle nicchie ecologiche e, complessivamente, sul paesaggio.

A causa di queste criticità ambientali
, il movimento golfistico italiano e internazionale sta cercando di spingere il proprio processo di crescita sempre più verso un approccio “ecofriendly”.

Va segnalato però che dei 401 golf club italiani
, solo 10 hanno la certificazione ambientale GEO (Golf Environment Organization), che può essere considerata una sorta di bilancio ambientale per il golf.

Il processo di certificazione GEO è pubblicato nel sito
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