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26 Settembre 2014, 07.23

Eppur si muove

Dio è morto?

di Leretico
Secondo Nietzsche Dio è morto, ma viste le innumerevoli guerre che ci sono nel mondo in nome del divino, viste le stragi che si perpetuano in nome di una certa “rivelazione” piuttosto che un’altra, verrebbe da dire che Dio è vivo, eccome

Nietzsche, con quelle parole, intendeva dire qualcosa di filosofico più profondo di quanto invece hanno recepito nell’Ottocento i suoi contemporanei, e soprattutto diverso da quanto hanno recepito i nazional socialismi e i fascismi del ventesimo secolo.
Egli faceva un ragionamento semplice: se esistesse un immutabile assoluto come Dio, che conosce e ha in sé passato, presente e futuro, la libertà del divenire non potrebbe esistere.

Essendo la vita espressione incontrovertibile della libertà del divenire, spettacolo in movimento sotto gli occhi di tutti, da ciò consegue che Dio non può esistere.
E l’idea di Dio sarebbe dunque un falso. Certo se qualcuno dimostrasse che il divenire (come diventar altro) è un’illusione allora le cose cambierebbero, ma questo è un discorso diverso, che qui non faremo.

La logica del ragionamento nietzschiano è rigorosa: essendo innegabile la realtà mutevole, dinamica, libera di essere in un modo piuttosto che in un altro, ne consegue che tutto ciò che volesse in qualche modo bloccare, impedire, regolare secondo una legge questa realtà in movimento risulterebbe ingannevole, presuntuoso, falso.

Da qui la problematica filosofica degli ultimi duecento anni.
Dall’assunto appena enunciato derivano infatti numerose conseguenze pratiche.

La prima è quella legata ai valori: essendo i valori assunzioni o regole di base che influenzano la scelta dei mezzi e la definizione dei fini dell’agire morale e etico dell’uomo, non stiamo parlando di poca cosa quando affermiamo che l’impostazione di Nietzsche ha messo in discussione, se vogliamo in crisi, i fondamenti della convivenza comune, dell’agire pubblico e privato, della fede religiosa e di tutto ciò che era ritenuto punto di riferimento imprescindibile per dare senso alla vita dell’individuo e della società.

Se il punto fisso con cui confrontiamo, misuriamo, giudichiamo il mondo viene a mancare, cadiamo in confusione, ci sentiamo, appunto, senza punto di riferimento.
Di qui lo smarrimento contemporaneo, l’angoscia.

Di fronte a questo problema, la violenza che si perpetua in nome di Dio, va nella direzione opposta.
Intende affermare che Dio non è morto, che Dio è presente, partecipa e ovviamente parteggia per chi lo difende, per chi difende la verità.

Ma qui il gioco è tra molte verità e le diverse verità in campo non solo pensano ma intendono anche essere l’”unica verità”, ossia tendono a voler imporsi, ognuna sulle altre, per poter sperare di influenzare il mondo in maniera esclusiva.
Hanno bisogno di “vincere” per affermarsi, e per tale ragione devono diffondere il più possibile i loro messaggi, le loro ragioni, i loro valori.
Se poi non riescono con i mezzi della comunicazione, allora tentano con mezzi più violenti, più tecnicamente efficaci, come le armi.

Un tempo, da un lato si chiamavano crociate (missioni di evangelizzazione), dall’altro “guerra santa”.
Sta di fatto che nella storia le diverse verità si sono sempre messe addosso un’armatura per combattere l’una con l’atra.
Allora, quando si vuole escludere la questione religiosa dall’ultima la guerra lanciata contro l’Isis, si cerca ingenuamente di celare una prospettiva che invece è predominante.

I video delle decapitazioni compattano i fronti, le stragi di cristiani fanno invocare all’azione: bisogna fermarli.
Una religione, attaccata da un’altra religione, deve difendersi per non essere annientata e cadere nell’oblio.
D’altronde c’è poco da dialogare con quei truculenti crociati all’incontrario che inneggiano al califfato islamico e che ammazzano a bruciapelo chiunque non voglia convertirsi alla loro religione, alla loro unica verità.
Se non ti difendi contrattaccando puoi soccombere e puff! fine della civiltà occidentale.

La guerra è stata dichiarata dal mondo islamico l’11 settembre 2001 e perdura.
L’Islam si proclama difensore dei poveri e dei deboli contro l’Occidente arrogante e spietato, difensore dei ricchi.
Ovviamente i poveri di tutto il Medio Oriente guardano con speranza al successo della loro fazione, della loro verità, chissà che con la vittoria non possano prendere il posto dei ricchi, sia al potere che nei possessi. Una volta diventati ricchi sono convinti che sarebbero diversi, perché, ovvio, illuminati dalla verità, l’unica verità, quella vincente.

Ma non ci perdiamo con i tagliagole, ritorniamo alle infinite verità di cui parlavamo prima.
Poiché nessuna di esse, dopo Nietzsche, gode della garanzia che solo l’immutabile aveva, il nostro tempo ha dichiarato che tutte le verità si equivalgono, lasciando il campo alla loro forza di sapersi imporre.
Non passa giorno infatti che non senta dire, da chiunque che per caso incespichi in questo argomento, che esistono mille verità, addirittura che esiste una verità per ogni individuo che calpesta il suolo terrestre.

A questo discorso si potrebbe immediatamente obiettare che affermare che esistono infinite verità equivale ad affermare che non esiste alcuna verità.
E successivamente ci si dovrebbe chiedere se l’affermazione che “non esiste alcuna verità” intende essere una verità. Infatti, se questa volesse essere davvero una verità allora affermerebbe la sua negazione, contraddicendosi. Dunque non possono esistere infinite verità, ma una sola.

La confutazione dello scettico, di quello che afferma che la verità non esiste, è dunque facile.
Già Socrate smontava con questa replica i sofismi del suo tempo. Resta il fatto che la conclusione dell’esistenza di una verità unica ci mette in difficoltà perché non sappiamo quale sia.
Nonostante questa consapevolezza, sapendo che le verità dell’Occidente equivalgono quelle dell’Islam, perché entrambe negabili, entrambe frutto della stessa pianta, non riusciamo più ad orizzontarci.

Ecco il vero dramma dei nostri giorni: sapere che tutto quello in cui abbiamo creduto non ha le basi per poter resistere alla negazione, pur sapendo che una verità unica esiste.
Certo, se qualcuno ci vuole uccidere con il coltello, la mannaia, il piccone, la bomba a mano, la bomba in piazza, la bomba nella metropolitana, con un DC9 che piomba nel nostro ufficio oppure con la bomba atomica, se la possedesse, ci obbliga a difenderci e a prevenire il pericolo.
Ma non crediamo anche noi di avere una giustificazione filosofico-religioso-rivelativa che sorregga le nostre azioni.

Ha ragione dunque chi dice che le guerre non possono essere fatte in nome di Dio, sia che sia morto sia che sia ancora vivo.
Dichiariamo apertamente allora che, nella logica del dominio, per imporre sul mondo il nostro modus vivendi, la nostra civiltà, la nostra sete di energia e di materie prime, dobbiamo usare la forza (preferibilmente in periferia altrimenti potremmo scandalizzarci di noi stessi).

Diciamolo anche, però, senza nasconderci dietro un dito, che cercando di mantenere il nostro benessere, la nostra ricchezza, alimentiamo sentimenti di rivalsa, di vendetta, di odio nei nostri confronti, provenienti da quei territori e da quelle genti che vorrebbero arrivare al nostro stesso benessere.
Non scomodiamo Dio, né da una parte né dall’altra, per questi desideri materiali fin troppo umani.
Lasciamo a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare.

Leretico

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