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18 Giugno 2012, 10.00

I racconti del lunedì

Buona notte, vecchierella mia

di Ezio Gamberini
"In taverna stanotte ci dorme il papy!". Voglio riappropriarmi di questo ambiente, occupato ormai da più di due mesi da Paolo che...

...i primi giorni di maggio, per prepararsi adeguatamente agli esami di maturità, ha radunato tutti i suoi libri e si è trasferito al fresco. Gli esami son finiti, ma lui non si è più mosso da lì. Domani, domenica, voglio alzarmi prestissimo e, senza disturbare nessuno, godermi un bel medio.
La temperatura è deliziosa, dormo come un pascià e mi sveglio riposatissimo alle sei meno un quarto. Mi crogiolo per una mezz’oretta tra le lenzuola fresche, dimentico della calura e della cappa di afa che ci attanaglia da qualche tempo. Ho già preparato sulla tavola pantaloncini, maglietta, calzini e ai piedi del letto sono pronte le lussuosissime scarpe nuove, acquistate da Lupo all’ultima Custoza.

Apro la porta per uscire ed ai miei occhi si presenta un cielo sfacciatamente azzurro che fa a gara, per stupirmi, con il verde smeraldino delle montagne che mi circondano. Una brezza frizzante accarezza il volto, provocandomi un brivido sottile; vorrei urlare per il piacere che provo, ma sveglierei tutti.
Vado pian pianino, conto i passettini che faccio, non me ne voglio perdere uno.

Arrivo a trecento, poi decido di cambiare itinerario: oggi andrò in salita. Imbocco la strada che porta alla vecchia ferriera dove capannoni vetusti hanno lasciato il posto alla nuova piazza e a due bei palazzi pieni di negozi ed appartamenti, che ne costituiscono i limiti a est ed ovest, mentre a nord c’è il lungofiume e a sud sorgerà il modernissimo municipio. Oltrepasso il ponte appena costruito, sotto il quale è stato attrezzato un campo gara fisso per canoa in cui si svolgono manifestazioni a livello internazionale. A monte c’è l’antica “punteria”, dove  cento anni fa si fabbricavano i chiodi, un capannone di cento metri per dieci, che sarà trasformato in biblioteca, tra le più grandi della provincia, conservando intatti i muri esterni che sono considerati patrimonio storico.

Come sta cambiando il mio paese! Così come noi, d’altra parte. Lo dico anche a Grazia: “Accidenti, come invecchi! Lo sai che sei la mamma di un ragioniere, adesso? Penso che potrei chiedere, con fondate speranze di ottenerlo, l’annullamento del matrimonio. Mi hai ingannato, che ci faccio io con la mamma di un ragioniere?”.
 
Percorro a valle il lungofiume fino ad un altro ponte (ancora uno e arriviamo a sette, come Budapest!) dove è situata la biforcazione con l’apertura della Val d’Agna. Dopo alcune centinaia di metri la strada comincia a salire e quando arrivo ai due tornanti si fa sentire prepotentemente, con insistenza, la mia “fascite”.

Aiuto dottor Colangelo, ‘mago’ della preparazione “maratonetica”, dammi qualche consiglio! Di che cosa si tratta, mi chiederai? Parliamo di “fasci” di tessuto adiposo che lentamente, subdolamente, perfidamente, avvolgono di preferenza le zone attorno ai fianchi, glutei, cosce, ma anche collo e guance; mi guardo allo specchio e cedo allo sconforto: “Maledetta fascite!”.

Tre mesi circa per preparare la prossima Carpi. Via, spingo a fondo, godendomi lo spettacolo che offre questa valle, il cui territorio fu comune autonomo fino al 1928, per secoli terra di decine di fucine e di uomini che forgiavano il ferro trasformandolo in attrezzi che servirono ai contadini per lavorare i campi, ma soprattutto in armi, necessarie alla Serenissima per conquistare nuove terre e poi difenderle. Ecco la sorgente dove più di quattro secoli fa San Carlo Borromeo, durante la sua famosissima visita pastorale, si fermò per riposare; narra la leggenda che il cardinale di Milano, esausto, su quella pietra abbia riportato una ferita e all’improvviso sia zampillata dell’acqua cristallina con la quale si rifocillò. Nel silenzio impressionante mi sembra di rivederli, questi personaggi.

Il sole non ha ancora fatto capolino, tra i fianchi angusti della valle, mentre prendo la via del ritorno: ora è tutta discesa, faccio il bullo ed aumento l’andatura. L’aria è freschissima, in riva al fiume non c’è anima viva, e dopo aver oltrepassato il ponte imbocco la via di casa che raggiungo prima delle otto: tutto tace, la “banda” di Via Don Belli è a riposare, compresi i “due sotto il metro”, i “treenni” che Paolo fa ammattire. Alla piccola A. ha chiesto: “Ti piacciono i cagnolini?” ricevendone in cambio un’occhiata poco convinta. “E i gattini ?”. “Siiiiiiiiiii”. “Sai che Luisa (la nostra vicina) in garage ha cento gatti? Chiediglielo, chiediglielo pure quando la vedi…”. La povera Luisa, successivamente interpellata al riguardo, non se l’è sentita di deluderla e alla richiesta di spiegazioni si è limitata a rispondere: “Mi sono scappati tutti stanotte!”.

Sempre lo stesso affarino, una sera in cui le famiglie cenavano in giardino, si è azzardata a fare le linguacce al primogenito, brandendo un gelato e canzonandolo: “Io mangio il gelato, io mangio il gelato….”. Quel cane di neo-ragioniere si è alzato con estrema calma, ha aperto il freezer, estratto un barattolo di gelato da due chilogrammi, e sotto gli occhi sbarrati della piccola si è infilato in gola una cucchiaiata enorme di crema e nocciola.

Ancora più grossa l’ha combinata al piccolo A. che lo prendeva di mira con la sua pistola di plastica: ha riposto con calma il tovagliolo ed è entrato lentamente in casa, appena varcata la soglia si è lanciato a razzo in solaio, ribaltando qualche scatolone, ha estratto la sua vecchia colt 45 col tamburo color oro, è tornato in giardino ed ha fatto due piroette nell’erba per poi rialzarsi e puntargli contro la pistola: “Bam”, sei morto!”. “Ma è vela?”, gli ha chiesto impressionato il bimbo. “Celto!” ha concluso Paolo.

In questo luglio si è pure verificata una circostanza che per Grazia ed il Tapascio assume la caratteristica di “eccezionalissima”: Chiara ed Anna al mare con gli zii, Paolo al mare con alcuni compagni “maturi”, in pratica un sabato da soli, io e lei. Decidiamo di andare in piscina, nel magnifico impianto salodiano immerso in ettari di verde, tra olivi e cedri. Leggo un intero libro e alle sette e mezza di sera, quando in piscina non c’è più nessuno, mi faccio un bagno fantastico nuotando nelle corsie deserte a rana e a dorso, senza guardare indietro, poi salgo sullo scivolo vuoto e mi butto a pancia in giù, a sedere in su, di fianco, una volta, due, tre….. L’addetta all’impianto mi guarda e scuote la testa, le passo davanti e sostengo lo sguardo, torvo, fino a quando non lo abbassa, non prima di aver fatto ancora qualche giro, spruzzando acqua da tutte le parti.

Giornata fantastica, non come martedì scorso, feriale e lavorativo. La fine di questo martedì merita di essere raccontato.

Il giorno muore, dopo essere iniziato circa diciotto ore prima, questa mattina presto, e finalmente appoggiamo le ossa (e un bel po’ di roba che gli sta attorno) sulla più bella invenzione degli ultimi sette-ottomila anni: il letto.

Grazia ha il “frìnchete”, continua a rigirarsi: “Sono troppo stanca, non riesco a dormire”. “Io avrei una bella idea……” le sussurro. Nella penombra mi sembra di scorgere un lampo nei suoi occhi. “Giù c’è una tonnellata di roba da stirare – le dico - e se vuoi, intanto, puoi caricare una lavatrice”.

Devo aver scorto male; i suoi occhi ora sono chiusi ed il respiro pesante. Le do un bacio sulla fronte: “Buona notte, vecchierella mia. A domani”. 


Tratto dal volume: “Tapascio Bombatus e altre storie” – Ed. Liberedizioni

Il racconto è del 2003
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