In vacanza da soli. Adolescenti alla ricerca dell'autonomia
di Giuseppe Maiolo

L'estate è già iniziata e le vacanze pure. Per la generazione del lockdown, oltre alla sensazione di una libertà riconquistata data dall'allentamento delle restrizioni, c'è anche un appuntamento importante per la crescita: la vacanza da soli


Una prova tutt’altro che facile. Un rito di passaggio, uno dei pochi rimasti, che in adolescenza rappresenta l’inizio del “viaggio” verso l’autonomia. Ma è una prova anche per i genitori, di solito non pronti ai cambiamenti dei pargoli.

Il viaggio, per tutti, evidenzia paure e angosce in parte reali e in parte che riguardano la fatica degli adulti a staccarsi dal “bambino”. È l’ambivalenza dei genitori che a parole lo vogliono cresciuto ma a fatti cercano di tenerlo più a lungo nel “nido”.  

Tutto comincia con una frase: “Quest’anno non voglio venire in vacanza con voi”. E da qui emozioni e sentimenti contrastanti che mettono in moto proposte alternative e tiri alla fune per la paura dei pericoli che i figli corrono senza mamma e papà al seguito.
La vacanza con un amico e un’amica o con il gruppo fa parte dei rituali necessari a tracciare un confine tra l’infanzia ormai conclusa e l’età adulta che si intravvede. È una tappa possibile attorno ai 15-16 anni, ma ogni storia è un caso a sé.

D’un colpo la svolta è difficile e sarebbe meglio sarebbe andar per gradi nel fare esperienze di autonomia prima di una vacanza tutta da soli. Se non altro perché le competenze relative all’organizzazione di un viaggio così come alla gestione dei rapporti e dei problemi possibili, si acquisiscono un po’ alla volta.

Questo vale anche per il processo di separazione dalla famiglia che è uno dei compiti più complessi dello sviluppo. E poi nella crescita nulla si realizza come se si dovesse premere un pulsante per avviare un motore. C’è bisogno di tempo per accettare le incertezze per le incognite del viaggio o la paura della solitudine.

Serve che i figli provino a pianificare da soli la vacanza ma che i genitori siano supervisori del programma. Gli adolescenti non potranno sfruttare questa esperienza costruttiva se l’organizzazione sarà tutta della mamma e il budget affidato alla carta di credito di papà.

L’andare per il mondo, o solo fuori dal cortile familiare, richiede regole e limiti e potrà servire se consentirà ai ragazzi di confrontarsi con la responsabilità delle scelte, con le proprie reazioni agli imprevisti possibili e non pianificabili. Anche con la gestione del danaro che, se finito anzi tempo, richiederà il rientro a casa.

E’ augurabile poi che i grandi non ingeriscano troppo in questa esperienza ma garantiscano pronta assistenza a distanza e soluzioni su richiesta. Sarà più utile concordare la frequenza delle chiamate telefoniche e lasciare che siano i figli a mettersi in contatto perché quando gli adolescenti si divertono non si fanno sentire. Segno che le cose vanno bene o che i problemi sono superabili.
 
Meglio un whatsapp che una telefonata, o una chat di famiglia con foto, giusto per far arrivare ai figli distanti il segnale importante “Io ci sono. Qui tutto bene e tu?”. Serve di più la fiducia e la pazienza. Anche se la vacanza dovrebbe essere preceduta dalla contrattazione sulle regole che la definiscono come esperienza. Inutili, invece, sono le prediche.

Giuseppe Maiolo
Università di Trento