Sassi dal cavalcavia, malessere e rabbia giovanile
di Giuseppe Maiolo

Ci eravamo dimenticati dei ragazzi che negli anni novanta lanciavano i sassi dal cavalcavia. Invece i recenti episodi che hanno visto nuovamente protagonisti alcuni ragazzini di Gavardo al di sotto dei 14 anni, ci confermano che quel "gioco" perverso e mortifero è ancora presente


Pensavamo conclusa la stagione delle imprese terrificanti di una gioventù definita spesso senza valori, annebbiata dalla droga o pervertita dalla modernità. Invece ci dobbiamo confrontare ancora con questo tema giovanile a cui è necessario trovare un nuovo significato.

Allora come oggi c’è l’agire del branco
che esalta i gesti del gruppo per far acquisire identità e visibilità, ma anche per scovare emozioni forti. C’è il gruppo con la sua funzione di crescita che pure serve a sperimentare il coraggio ma anche a scaricare responsabilità e senso di colpa.

Però dietro questi atti come al di sotto di tante azioni vandaliche e distruttive che assistiamo in questo periodo, per i giovani del coronavirus c’è il disagio crescente relativo al futuro che incombe. C’è l’incertezza acuta della vita e la sfiducia negli strumenti che servono per crescere e diventare grandi.

Poi, ovunque, essi vivono la distanza dalla libertà, la lontananza dal territorio dell’amicizia e dagli incontri che necessitano per riconoscere se stessi e gli altri, per dare forma all’informe e a quella traballante figura che è un giovane durante l’attraversamento lungo dell’adolescenza. La pandemia e la quarantena imposta, sono state percepite spesso dai coronials come punizione e vissute come un interminabile periodo di mancanze.  Di fatto mancano e tuttora sono carenti le esperienze e i confronti possibili tra pari, così come sembrano prevalere una quantità di vuoti che sarà difficile recuperare anche attraverso quei social che di fatto hanno compensato la solitudine.

Pensiamoci! Mancheranno a loro le possibili trasgressioni, anche quelle relative alla vita digitale, adesso sdoganata.

Ma soprattutto è l’intermittenza continua della scuola, l’avvento della DAD, criticata e criticabile ma necessaria, che ha di fatto soppresso nei ragazzi la condizione e il ruolo di studenti. Senza la presenza della scuola con i suoi ritmi e le sue funzioni, è diventato incerto anche lo statuto dell’allievo e precario il limite all’agire che in ogni caso la scuola impone a chi la frequenta.

Già povera l’identità dell’adolescente e ai valori minimi la sicurezza, il prezzo da pagare oggi sembra essere un incremento di vulnerabilità che si aggiunge a quella fisiologica, ma anche un aumento di quote di rabbia e di emozioni negative troppo a lungo impedite al bambino felice che gli adulti desideravano.

L’adolescenza di adesso, dominata più che mai dal presente e dove il futuro non trova spazio perché nessuno lo insegna né lo promuove come speranza, vive lo sconforto, l’angoscia collettiva e il terrore per ciò che la vita può riservare. I ragazzi con più bisogni ma senza desideri appaiono incapaci di inventare soluzioni quanto meno ideali al dolore che circola.

Più ancora poveri di strumenti per gestire il malessere, gli adolescenti si affollano attorno alla rabbia e ai sentimenti malevoli e distruttivi come l’odio e agiscono azioni spaventose che la realtà virtuale ha reso facile da narrare.

Giuseppe Maiolo
Doc. Psicologia delle età della vita
Università di Trento