Solo un grande bluff
di Luca Rota

Questa Super League, per come l'hanno presentata i diretti interessati, è solo un grande bluff, e come tale andrebbe gestito: niente concessioni, accordi, solo un richiamo alle regole e tanti cari saluti in caso contrario (cosa che non avverrà).


Il calcio è uno sport nato dalle élite, nei college inglesi della prima metà dell’Ottocento, e prima di diventare “the people’s game” si è lottato parecchio affinché chi pensava di detenerne l’esclusiva concedesse l’apertura verso tutti.

Superata la sua fase pionieristica smise quasi subito di essere un gioco, diventando un business, una questione di affari, il tutto però con gli stadi strapieni, la gente fortemente entusiasta e i bambini per le strade sempre con qualcosa tra i piedi da calciare.  

Non a caso Borges sostenne che “ogni volta che un bambino prende a calci un pallone per strada, lì rinasce la storia del calcio”; come dargli torto.

Chi oggi minaccia la creazione della Super League ha come obiettivo la ricerca di maggiori guadagni, ponendosi al di sopra degli altri e perciò pretendendo più introiti, senza la benché minima idea di ridimensionare le proprie pretese, mentre magari avrebbe potuto prendere spunto da chi, con meno spese e più organizzazione, da un po’ di anni ottiene risultati migliori.

Il calcio è un business certo, non da ieri, ma il messaggio inviato l’altra sera dai vertici delle dodici squadre fondatrici, recita che l’importante è guadagnare, e poco importa se ciò implica farsi una competizione ad hoc, nella quale giocherebbero solo quelle che al rito fanciullesco della conta si sono “scelte” tra loro.

Qualche domanda dovrebbero porsela anche quei tifosi, termine non a caso coniato proprio un secolo fa (