A chi non piace il 25 Aprile
di Luca Rota

C’è chi propone di abolirlo, perché lo ritiene divisivo, senza significato. C’è chi da sempre vorrebbe eliminarlo, per cancellarne la memoria, perché fastidioso o peggio ancora “di parte”. Quest’ultimo è l’unico vero motivo che ci porta a festeggiarlo ogni anno. La Liberazione è una festa “di parte”, ed a buon merito anche.


A chi non piace il 25 Aprile, e con esso tutto l’immenso significato che porta con sé da ben 75 anni, ci viene da pensare che probabilmente sarebbero piaciute le dittature nazi-fasciste, comuniste, e magari se le sarebbe anche meritate.

A chi non piace il 25 Aprile andrebbe spiegato, perché probabilmente non n’è a conoscenza, che questa ricorrenza non è la festa del fu partito comunista italiano, ma di tutti quelli che combatterono contro la dittatura nazi-fascista.

A chi non piace il 25 Aprile andrebbe fatta studiare, o se già studiata ripetere (ma bene) un po’ di storia del ventesimo secolo, ed in aggiunta riascoltare e leggere più e più volte il testo di “Bella ciao” (unico e solo inno mondiale dell’antifascismo), affinché possa riflettere e provare ad immaginare cosa vissero quelle migliaia di giovani resistenti sui monti del Nord Italia.

A chi non piace il 25 Aprile magari si potrebbe consigliare la lettura, o anche la visione della versione cinematografica, del “Partigiano Johnny” di Beppe Fenoglio, e di qualche altra dozzina tra libri (“Uomini e no” di Elio Vittorini, “Fausto e Anna” di Carlo Cassola, “I piccoli maestri” di Luigi Meneghello, “Fontamara” di Ignazio Silone) e film (gli stessi “Uomini e no”, “I piccoli maestri” e “Fontamara”, poi “Roma città aperta”, “Miracolo di Sant’Anna”, “La notte di San Lorenzo”) dedicati a quel periodo storico ed agli eventi riguardanti la Resistenza.

A chi non piace il 25 Aprile si potrebbe applicare - in via del tutto eccezionale - una piccola “devianza” costituzionale: essendo così forte il desiderio manifestato da costoro di voler vivere sotto dittatura, li si potrebbe radunare tutti, trasportarli in un luogo remoto, ed infine una volta posizionati in prossimità di un muro, chiedere loro di fare un passo avanti se disposti a sposare la causa democratica. In caso contrario, li si deporterebbe (il metodo non è di mia invenzione, ma era la forma di reclutamento nazi-fascista post 8 settembre ’43) con tutto ciò che ne consegue; anche perché essendo loro fervidi sostenitori di quei regimi e di quei metodi, saranno di certo a conoscenza di quale sarà l’esito a loro riservato.

Solo a fine trattamento li si avvertirebbe che si tratta di uno scherzo, di pessimo gusto per carità, ma pur sempre uno scherzo (le deportazioni nazi-fasciste non lo erano affatto). Sono certo che la stragrande maggioranza di loro si appellerebbe ai propri diritti, urlando a squarciagola, puntando il dito contro le violazioni ed i soprusi subiti, contro la ghettizzazione del loro pensiero, contro questo, quello e quell’altro. Insomma si dichiarerebbero fermamente contro i metodi propri di quei regimi che tanto rimpiangono, e a cui inneggiano di continuo.

Ecco come, a mio avviso, andrebbe spiegato il 25 Aprile a chi non piace il 25 Aprile; con tutto ciò che questa ricorrenza ha fatto sì non avesse più luogo.

Anche se è doveroso ricordare che - come la nostra storia politica ci insegna - di 25 Aprile c’è sempre bisogno, sia quando il nero lo ridipingi di biancoscudato, sia quando provi a colorarlo di rosso sbiadito, sia se smetti di colorarlo - tanto siamo diventati quasi tutti daltonici - e racconti in giro che i colori non esistono più.

Perché il 25 Aprile è il giorno in cui nacque la consapevolezza che, anche dopo un ventennio d’ingiustizie dove la speranza e la giustizia sembravano morte e sepolte, c’è possibilità di rinascere e di ricominciare.

Personalmente del 25 Aprile, o meglio del post 25 Aprile, non piacciono l’assoggettamento totale agli USA, che ancora oggi risulta tale né l’amnistia concessa da un certo Togliatti (a tal proposito consiglio la lettura del bellissimo “La ragazza di Bube” di Carlo Cassola, di cui esiste anche la versione cinematografica), che riabilitò i fascisti ed allo stesso tempo criminalizzò chi dopo anni di angherie e soprusi, presentò il conto a chi di dovere.

Per questo e per tanti altri motivi, visibili dagli anni del dopoguerra ad oggi, c’è poi un’altra cosa che non mi piace del 25 Aprile: che ancora oggi, dopo 75 anni, si conceda a partiti dichiaratamente incostituzionali, che si chiamino msi, fiamma tricolore, alleanza nazionale, fratelli d’Italia, forza nuova o casapound (tutti rigorosamente in minuscolo), di partecipare al dibattito democratico di questo Paese, sputando sulla memoria di quanti morirono proprio per combattere quelle idee malate promosse dai loro “nonni”.

Loro, i “nipotini” di Mussolini ed Hitler, che la democrazia non l’hanno mai ammessa, hanno voce in capitolo per quel che riguarda la democrazia stessa. Cosa che al contrario, durante quel ventennio che li “generò”, non era minimamente pensabile essendo le opposizioni dichiarate illegali, fuorilegge e di conseguenza incarcerate.

Perché è inutile nascondersi dietro un politicamente corretto inesistente: sono questi quelli a cui non piace il 25 Aprile, ed hanno un nome ed un senso di appartenenza di cui vanno persino fieri, nonostante le stragi di Marzabotto e Stazzema, le leggi razziali, le guerre coloniali, la Seconda guerra mondiale, i campi di concentramento e l’imposizione del pensiero unico.

Si chiamano fascisti; sempre rigorosamente in minuscolo, sia che si trovino ad inizio frase, sia che propongano di abolire la ricorrenza della Liberazione, sia che prendano la parola; la grammatica sono certo ci concederà questa eccezione, col beneplacito (a maggioranza) sia della giustizia che della Storia.