Canide cinico
di Pseudosofos

In che modo una quotidiana trasferta in treno riesce a far riflettere sul cinismo come arte del saper essere franchi e spregiudicati nel dire il vero…


Mi trovo in treno, in viaggio verso Urbino, la cittadella rinascimentale dei noti saliscendi in sanpietrini e dei muri in cotto a mattoncini.
Sto leggendo un interessante libro del filosofo Michel Foucault, autore a me ancora per lo più ignoto. Si tratta di una serie di sue lezioni dal titolo “Il coraggio della verità”. Sono a pagina 168, desideroso di continuare.

Tuttavia, non mi è facile meditare in treno.
Anzitutto, sono seduto all’opposto della direzione di marcia della locomotiva e questo mi genera qualche lieve capogiro. Inoltre, il vagone è pieno di persone che parlottano legittimamente, incuranti del mio desiderio di sfogliare pagine librarie.
Del resto sono fra quelle persone per cui solo il silenzio è considerato lo sgabello comodo per far accomodare l’anima a fianco delle fiamme d’inchiostro che la sanno scaldare.

Comunque, di là da questi disagi,
la lettura prosegue tranquilla, in virtù dell’interesse che l’autore sa solleticare al mio intelletto.
Tutto ciò dura fino a quando l’atmosfera è interrotta dalle urla di un figlio di cerbero. Infatti, dal fondo dal fondo della carrozza si ode l’irato abbaiare di Simba – questo il nome che gli è stato sbadatamente assegnato –, il minuto cane di una casuale compagna di viaggio.
Sorpreso dall’accaduto, mi sporgo dal sedile e vedo che il quadrupede abbaiante ha fatto barcollare le ginocchia di una povera nonnina: un’anziana sventurata che, ignara dei malumori del canide, pensava di fargli qualche complimento.
Il risultato stava per diventare un semi-infarto. Per fortuna nulla di grave per la passeggera sviluppata in età.

Il problema è che Simba, probabilmente irato con la padrona che ha voluto portarlo in treno e costringerlo in una specie di borsa termica adatta a fare la spesa al Bennet, non ha più voluto sentirne di far silenzio. E così è iniziata la lamentazione continua di quell’esemplare di migliore amico dell’uomo.
Ad ogni passante in corridoio mostrava i suoi canini in gran stile. Chissà se il suo sorriso aveva i toni dell’imprecazione o della lode al Signore degli animali?

Data la situazione
, come si può immaginare, diversi passeggeri hanno pensato di rendere nota la faccenda al capotreno.
Eppure, nemmeno di fronte alle minacce di costui rivolte alla sua padrona – grossomodo del tipo: “Signora: se non fa smettere il suo cane di abbaiare, non gli mette la museruola o non lo richiude in un’apposita gabbia da viaggio, la faccio scendere alla prossima fermata” – il cane ha desistito dalla sua cantilena monotonale.
Le minacce dello sceriffo sulle rotaie, comunque, non potevano sortire alcun effetto: la padroncina di Simba non aveva con sé né una museruola né l’apposita gabbia di custodia cautelare.

Ed è a questo punto che l’antica vitalità di Dioniso si è fatta viva.
Fra parentesi: di Michel Foucault in questo momento non mi importava più molto, tanto ero intento a osservare lo svolgersi della vicenda.
Alcuni passeggeri parlottavano riferendosi all’audacia del capotreno, ma con la riservatezza tipica dei bucanieri quando discutono nella stiva di come spartirsi il bottino.
Altri stigmatizzavano con battute e risatine ironiche la stoltezza di quella povera animalista disorientata, alla quale non era rimasto molto da fare se non redarguire il suo animaletto.
Del resto, pareva ci fosse uno stratagemma per calmare il re dei segugi in viaggio: bastava che lo portasse al suo prospero seno e, magicamente, smetteva di abbaiare. Forse i cani hanno in comune qualcosa con i maschi umani.

D’altro canto, quando la fanciulla di mezza età cominciava a conversare con Simba, nella convinzione che lui potesse capire quanto le diceva, allora la latrante cantilena ricominciava tonante, fra il disappunto dei più.
Per quale ragione, in effetti, un cane dovrebbe ascoltare e comprendere le parole della sua padrona? Sarebbe come chiedere ad un valsabbino di ascoltare i buoni consigli di un cinese mentre gioca alla “mùra” in osteria.

Tuttavia, molti fra i presenti si domandavano che cosa fosse più insensato: sentire questa signora sgridare il suo cane come se fosse un bimbo capriccioso; ascoltarla mentre sbuffava contro la fiscalità del capotreno – insensibile alle sue difficoltà; oppure sopportare i suoi plateali sfoghi di preoccupazione per il timore di scendere alla prossima fermata.

Sta di fatto che, miracolosamente, Simba si è deciso a schiacciare un pisolino in braccio alla sua affezionata padrona. E così la calma è tornata.

Riprendo a leggere Foucault, ma più divertito di prima
.
Rifletto sul fatto di quanto sia consolante il modo in cui le circostanze spesso sappiano migliorare le nostre giornate. Per di più, ironia della sorte, alla ripresa della lettura le parole del filosofo si focalizzano sul perché i pensatori cinici antichi erano nominati “cani”.
Infatti, in base alle sue ricerche di archeologia dei saperi, Foucault nota che la sapienza cinica appariva come l’abbaiare dei cani: franca, pura, non intimorita dagli ascoltatori, decisa nel farsi sentire e incurante delle reazioni prodotte. Il franco canto della verità era l’unica cosa che ad un cinico importava nell’usar la sua voce.

Non ho dubbi: durante questo viaggio verso la città degli illustri rinascimentali italiani, il Dio dei filosofi ha pensato di consolare la mia anima affaticata dal viaggio permettendo a Simba di mostrarmi la verità di un’egregia lezione di Michel Foucault. Diversamente, l’avrei conservata solo come mnemonica teoria.
Onore a questo Dio, dunque, che si è servito del cinismo di un cane per far riflettere un ipotetico teorizzante come me.

Infondo mi domando: chi meglio di Simba avrebbe potuto essere testimonianza della verità di chi non si cura delle chiacchere a lui rivolte… comprese quelle della padrona che lo ama quasi fosse umano?

di Pseudosofos