L'inarrestabile declino di una società flaccida e ipocrita
di LoStraniero

Europa era bellissima. Era figlia di Agenore, re di Tiro. Di lei s’invaghì Zeus che trasformatosi in toro bianco la condusse a Creta dove le si rivelò...


Quali le inevitabili conseguenze?
Tre figli, tra i quali Minosse.

Minosse divenne re di Creta. Da lui nacquero la civiltà cretese e quindi quella europea.
Da allora in poi col nome di Europa si designarono le terre a nord del Mediterraneo.

L’Europa è stata per qualche millennio la luce del mondo. Culla del pensiero geniale in tutti i campi dello scibile umano da cui sono scaturiti arti e arte, cultura e libertà, democrazia e diritti, invenzioni e scoperte che hanno fatto il progresso e il benessere di tutti.

Questa fu l’Europa. Questa l’Europa che fu. Questa l’Europa che non sarà più.

Sotto il regno di Onorio l’esercito goto stringeva d’assedio Roma. Alarico le pose il blocco. Circondò le mura controllando le dodici porte principali della città e la navigazione sul Tevere da cui i romani si approvvigionavano prevalentemente di viveri. Correva l’anno 410 d.C.

Come osava questo spregevole barbaro insultare in modo così arrogante la capitale del mondo? Si domandarono i senatori.

I senatori che non stavano a Ravenna, dove Onorio aveva stabilito la sua sede imperiale, ma a Roma dove continuavano la loro vita di sempre, dovettero costatare che qualcosa era cambiato.

Appiano Marcellino, uno storico del tardo impero che viveva proprio a Roma, nella sua opera “Res Gestae”, descrive alcune abitudini di questi senatori e della nobiltà romana in genere.

Riporto alcuni passi.

“La grandezza di Roma si basò sulla rara e quasi incredibile alleanza tra virtù e fortuna ... , ma questo nativo splendore è avvilito e macchiato dalla condotta di alcuni nobili che, immemori della propria dignità e di quella del loro paese, si abbandonano a una sfrenata licenza gareggiando nella stolta vanità di titoli e nomi, e scelgono o inventano gli appellativi più alteri e altisonanti che possano colpire le orecchie del volgo, riempiendolo di stupore e di rispetto”.

“L’ostentazione con cui sfoggiano e forse esagerano la lista delle rendite delle tenute che possiedono in tutte le province, da oriente a occidente, provoca il giusto risentimento di ogni uomo che ricordi come i loro poveri e invincibili antenati non si distinguessero per la raffinatezza del cibo o per la magnificenza delle vesti”.

“Seguiti da un corteo di cinquanta servitori, si muovono di gran carriera lungo le strade con la stessa impetuosa velocità che avrebbero se viaggiassero con cavalli di posta, e l’esempio dei senatori è seguito spavaldamente dalle matrone e dalle signore, i cui carri coperti sono continuamente in movimento nello spazio sconfinato della città e dei sobborghi”.

“Nell’esercizio della giurisdizione domestica i nobili di Roma rivelano una viva sensibilità per qualsiasi offesa personale e una sdegnosa indifferenza per il resto della specie umana. Se chiedono dell’acqua calda, lo schiavo che non si dimostri pronto a obbedire viene punito all’istante con trecento frustate, ma se lo stesso schiavo dovesse commettere un assassinio, il padrone osserverà con indulgenza che si tratta di un tipo poco per bene, ma che se ricadrà nella stessa colpa non sfuggirà alla punizione”.

“L’acquisto del sapere raramente impegna la curiosità dei nobili, i quali detestano la fatica e disprezzano i vantaggi dello studio; gli unici libri che leggono attentamente sono le Satire di Giovenale e le storie prolisse e fiabesche di Mario Massimo. Le biblioteche che hanno ereditato dai loro padri sono escluse, come malinconici sepolcri, dalla luce del sole”.

“La miseria che segue e punisce il lusso smodato costringe spesso i grandi a ricorrere agli espedienti più umilianti. Quando devono chiedere un prestito assumono l’aria umile e supplichevole dello schiavo della commedia, ma quando sono invitati a pagare adottano la declamazione regale e tragica dei nipoti di Ercole. Se la richiesta viene ripetuta, si procurano prontamente un fidato sicofante al quale viene dato ordine di accusare di magia o avvelenamento l’impertinente creditore, che di rado viene rilasciato dalla prigione finché non ha firmato un condono dell’intero debito.”

Queste erano alcune delle belle abitudini della nobiltà romana quando Alarico prese Roma per fame.

Solo allora i senatori si accorsero che qualcosa era cambiato, ma non si domandarono se essi stessi erano cambiati e se non avessero equivocato sui loro vizi ritenendoli virtù.

Roma non è caduta per opera o per colpa dei barbari che calavano dal Nord o dall’Oriente. I barbari ci sono sempre stati fin dalla fondazione e Roma, fino a un certo punto, li ha sempre combattuti e vinti.

Anche oggi ci sono i barbari.

Dopo un certo tempo, la vecchia burocrazia, la classe dirigente più importante del mondo, esempio d’integrità, di patriottismo, di coraggio e abnegazione, cominciò a cedere all’egoismo e al vizio.

Nel tempo si manifestò anche una penuria di figli che provocò la riduzione di soldati e costrinse le autorità ad assoldare barbari per difendere le vaste frontiere dell’impero.

A questi barbari venivano poi assegnate terre situate nel cuore dell’impero (vedi per esempio i galati in Anatolia)
Ai tempi di Onorio non combattevano più romani contro barbari, ma barbari contro barbari.
I romani avevano disimparato a combattere, ma avevano imparato a rubare.

Quello che sconcerta di più è che questi indegni e dissennati discendenti di Teodosio, e i loro governi, di fronte al marasma dell’imperversare di barbari, non hanno avuto mai il quadro della situazione e non sapevano più che “pesci pigliare”, a quale barbaro affidarsi, facendo spesso eliminare personaggi valenti e fedeli come Stilicone ed Ezio, anch’essi barbari.

E oggi? Le classi dirigenti europee hanno le idee chiare? Sanno che cosa fare?

Forse solo sul rubare. E sul diametro dei piselli e la lunghezza dei fagioli.

Sul modo odioso dei nobili romani di farsi rimettere il debito ricorrendo ai sicofanti, mi viene sempre in mente la preghiera che i cristiani, nelle chiese, a braccia spiegate, con i palmi rivolti verso l’alto, levano al Signore nella preghiera del Padre nostro dicendo: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Per fare un buon pane ci vuole un buon lievito.

La nostra società non cresce perché manca il lievito che abbiamo perduto per sempre.

LoStraniero

.in foto: I mutanti, di Fabian Marcaccio