La psicologia del branco
di Giuseppe Maiolo

Il partecipato dibattito, anche critico, al tema del padre mancante trattato la volta scorsa, mi fa dire che sull’argomento educazione e funzioni genitoriali c’è, come giusto, grande attenzione e interesse


Ritengo allora utile promuovere un’altra riflessione sulla violenza giovanile che mi viene suggerita da due episodi recenti: le devastazioni romane di qualche giorno fa di un branco di cosiddetti “tifosi” e l’abuso sessuale messo in atto per mesi da un altro branco ai danni di una tredicenne.

Potrà sembrare strano ma, a mio avviso, c’è qualcosa che accomuna questi eventi.
Da un lato la forza e il potere del gruppo che diventa “branco” e devasta, saccheggia, violenta con una sorta di provocatorio esibizionismo.
Dall’altra la sensazione che vi sia una generale incapacità nei nostri ragazzi a gestire le emozioni, a controllare le proprie pulsioni e a comprendere la relazione tra azione e conseguenze.

Non per insistere sulle funzioni educative paterne e sulla necessaria normatività dei padri, che a mio avviso non confligge con il rispetto dell’altro né con i democratici principi educativi, mi viene da chiedere se non sia questa mancanza di autorevolezza e di coerenza educativa che ha reso “morbido” il padre e “sbiadito” il suo intervento a far sì che gli adolescenti non siano in grado di mettere confini al loro agire.

Da sempre il ruolo del padre è stato quello di “traghettare” i figli dall’universo materno a quello della società.
E proprio durante questo percorso, che oggi coincide con l’epoca dell’adolescenza, la sua funzione è sempre stata quella di dare regole e limiti, di accettare la trasgressività, ma al contempo sanzionare gli sbagli, di incoraggiare ma pure pazientare e saper attendere perché la crescita richiede tempo, accompagnamento e ascolto.

Purtroppo non sembra oggi che vi sia più una grande attenzione alla trasgressione, anche perché i limiti sono diventati vaghi e imprecisi.
Abbiamo definito “bravate” le disobbedienze che una volta venivano sanzionate e le abbiamo quindi declassate ad azioni banali.
Abbiamo sostanzialmente abolito lo scontro generazionale, creando una comunità di “amici”.

Questo fa sì che quella trasgressività fisiologica che opponeva i figli ai padri e che caratterizzava l’epoca del confronto con la vita e la società è quasi del tutto venuta a mancare.
Non c’è più conflitto tra il bisogno di autonomia e il freno delle regole che in un tempo non molto distante da noi, venivano poste non solo a parole ma spesso anche solo con uno sguardo da quel padre severo e intransigente.

Alle volte, è vero, si trattava di un padre-padrone e in questo caso non vi  era confronto ma sottomissione.
Nella maggior parte dei casi però lo scontro era un banco di prova. Serviva perchè il giovane cominciasse a mettere in gioco le sue capacità, ma anche per controbilanciare, ad esempio, un altro potere emergente, quello del gruppo che aiuta serve all’adolescente per trovare l’energia per affrancarsi dalla dipendenza  infantile e diventare autonomo.

Quel gruppo ora, in assenza del confronto con i limiti e le regole, è diventato totalitario.
È diventato “branco” dove gli agiti collettivi precedono il pensiero del singolo e dove la partecipazione alle imprese è sempre più caratterizzata dal bisogno di dare sfogo alle proprie pulsioni aggressive e violente.
In molti casi l’appagamento viene da quella scarica di adrenalina che il branco insegue e dal bisogno individuale di ciascun membro di emulare le azioni degli altri e dimostrare ai pari, non più agli adulti, che si è in grado di fare imprese mirabolanti.

Questa è la differenza.
Non è più il braccio di ferro tra due soggetti, giovane e adulto, a muovere la trasgressione dei nuovi adolescenti, quanto la necessità di mostrarsi ai pari come super-eroi imbattibili e far vedere ad una platea sempre più ampia di quali cose si è capaci.
Il bisogno quindi di essere visibili, di “bucare” l’attenzione di un “pubblico” sempre più sonnolente e distratto, spesso ormai indifferente a tutto, la necessità di essere protagonisti su Youtube o sui Social anche solo per il piacere di ricevere quei tanti click che ti fanno sentire importante, alimenta un po’ tutte le azioni estreme.

È questa la psicologia del branco
, quella che muove una spavalda violenza per le strade e sostiene l’ostentata sicurezza del bullo che minaccia e abusa realmente o in Rete producendo quel devastante fenomeno che sta diffondendosi e che si chiama “cyberbullismo”. 

Giuseppe Maiolo
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