Essere altro da sé significa essere nulla 1.2
di Dru

Pensare e dire intorno Qualcosa significa pensare e dire intorno Tutto. Perché allora dir di qualcosa non significa dir di tutte le cose?


Tutto non è tutte le cose, ma dell’aspetto formale che è il tutto, quello che il tutto contiene sostanzialmente non è il tutto, ma sono tutte le cose: lo sfondo perenne del mondo è il tutto, ma di tutte le cose in quanto transeunte.

Noi, ad un certo punto e precisamente con la filosofia greca, riconosciamo il tutto nella forma, ci appare (con Parmenide), ma nella sostanza lo neghiamo, ci scompare: lo riconosciamo nella forma, perché riconosciamo che qualcosa è tutto, lo neghiamo perché qualcosa non è tutte le cose, dunque non crediamo più che il tutto le abbia in sé.

Come per un uomo che, non essendo l’uomo non è tutto ciò che l’uomo può essere di quell’uomo, anche il tutto che riconosciamo  non è in grado di contenere tutte le cose.

Se il tutto, che riconosciamo, avesse in sé tutte le cose, per quale ragione a noi, in quanto “noi”,  è precluso il vederle?

Se il tutto fosse davvero ciò che è tutte le cose, allora ogni movimento che incominciasse, dal non essere in quel tutto, non sarebbe e dunque, od ogni movimento non sarebbe o a non essere sarebbe quel tutto che non lo comprendesse, ma appare che il tutto prima del movimento non è il tutto dopo, dunque se esiste il movimento e il movimento è evidente che esista, il tutto che c’era prima non è il tutto che appare poi, il tutto non è il tutto.

Questo modo di qualcosa di essere transeunte, caducho, effimero, temporale, storico porta il tutto a non essere il tutto, alla contraddizione:  basta che alzi un braccio e nel cerchio dell’apparire del tutto entra quel braccio alzato che non è parte di quel tutto, si che quel tutto, escluso del mio braccio alzato, non è il tutto comprendente il mio braccio alzato.

Noi riconosciamo il tutto nella forma ma nella sostanza lo percepiamo come contraddittorio, confondendo il tutto con tutte le cose.

Non potendo noi, in quanto “noi”, conoscere tutte le cose, allora rifiutiamo di riconoscere il tutto, ma il tutto, in quanto tutte le cose, è qui presente in ogni attimo della nostra esistenza.

Il limite di comprensione è dovuto alle  modalità dell’apparire.

Se le cose non apparissero allora non vi sarebbe alcun limite, che dell’apparire è il comparire e lo scomparire, e non vi sarebbe alcunché che appaia come transeunte.

L’apparire è il cerchio dove si manifestano “per noi” le cose del mondo, ricordando che il mondo è qualcosa e il suo non esser l’altro, essendo l’altro dell’altro il suo altro, qualcos’altro che non è che nulla di sé.

Questo comparire di esse, e questo scomparire, questo è il loro apparire, giustifica l’incertezza che ci domina.

Supporre un’esistenza al di là è il fondamento di quanto la proposizione precedente esige.

Ma se riflettiamo solo un attimo quell’al di là, ci appare che quell’al di là è ancora un al di qua in quanto  pensato, luogo in cui  scaturisce ogni cosa che appaia.

Ogni cosa che appare, appare nel pensiero e non in altro dal pensiero, quell’altro dal pensiero come cosa che appare in sé  è del qualcosa  l’altro da sé, è del qualcosa il nulla e come nulla che vuole essere è l’impensabile.

Continuerò… (forse ndr)