La lotteria
di Ezio Gamberini

L’occasione era ghiottissima: con cinquecento lire avrei potuto vincere un enorme coniglio rosa da portare a Grazia, la gentile signora con la quale condivido, ormai da un terzo di secolo...


...figli pranzo cena piumone antiallergico e conto corrente bancario, ma a quel tempo si andava a morose soltanto da tre anni.

Era una sera di libera uscita, e nei pressi del castello di Villafranca, bellissima cittadina veneta che dopo il CAR (Centro Addestramento Reclute) di venticinque giorni ad Ascoli Piceno mi ospitò per i successivi undici mesi di servizio militare, si teneva una fiera con i fiocchi: bancarelle di ogni forma e colore, autine, calcinculo, giostre di ogni tipo, tiro a segno, bocce di vetro coi pesci da centrare con le palline, chiodi da martellare, ferri da stiro da lanciare, pile di lattine da far crollare, insomma, ogni ben di Dio!

M’incuriosì una bancarella piena di peluche enormi e variopinti che potevano essere vinti grazie ad una lotteria: il numero vincente era estratto dopo aver fatto girare una grande ruota dentata, con un effetto acustico caratteristico e affascinante (che ricordava quello ottenuto quando da bambino applicavo alla ruota della mia biciclettina una cartolina, bloccata con una molletta); per quel giro il premio era costituito da un formidabile coniglio rosa, alto almeno un metro, di cui m’incapricciai.

 “Voglio vincerlo, voglio portarlo a Grazia”
e così acquistai il biglietto, numero 33, che costava cinquecento lire, mezza paga giornaliera del soldatino semplice quale ero.

“Però devi farmi vincere, deve uscire il 33, su, i tuoi anni, Gesù, Gesù, devi farmi vincere!”.


Non so quanto tempo passò prima che fossero venduti tutti i biglietti, ma per tutto quell’intervallo non smisi un istante di rivolgermi al Padreterno, il quale non poteva ignorare il grido d’aiuto di un povero giovane lontano di casa, solo e affranto, che voleva portare un regalo alla sua morosa…

Gira finalmente la ruota: “Trrrrrrrrrrrrrrrrr…” sembra non fermarsi mai, mentre con le mani giunte prego mentalmente: “Dai, dai, dai, esci 33, esci, esci!”.
La forza impressa al marchingegno rotante si sta ormai esaurendo, chiudo gli occhi, e sento soltanto il rumore mentre i numeri ora scorrono lentamente: “Tac, tac… tac…!”. Tutto tace, ora, ma all’improvviso si leva un grido:
“44, è uscito il 44!” urla l’omino del baraccone.

“Perché, perché non mi hai esaudito?”
.
Sono deluso e affranto, ma anche arrabbiatissimo.
Risalgo sulla 500 e percorro i pochi chilometri che mi separano dalla caserma, situata all’interno dell’aeroporto.
Uscito dal centro e abbandonati festoni e luminarie, nell’attraversare la campagna, pur ritrovandomi nell’oscurità più totale, ricomincio a vedere più chiaramente: quanto sono stolto!

Come mi sono vergognato per essermi abbassato a tanto: è possibile che abbia scomodato il Padreterno per una bazzecola del genere?
Ora tutto è chiaro, forse pensava ad altre faccende: forse anche Lui osservava costernato, ad esempio, l’aereo saltato in aria nel cielo di Ustica o la bomba esplosa nella stazione di Bologna, atrocità avvenute proprio in quel periodo!

Con il passare degli anni sempre più mi sono persuaso che è inutile chiedere al Padreterno che ci faccia “vincere” qualcosa, perché se vinceremo noi, a perdere sarà qualcun altro.

E poi, così come sono restato sbalordito dopo aver pensato per un attimo di avere tutto il diritto di chiedere a Dio che mi facesse vincere il coniglio rosa, non ho potuto nascondere lo sgomento per le atrocità perpetrate in passato, sotto il segno della Croce, convinti di essere nel giusto partecipando alle Crociate, o durante la seconda guerra mondiale, quando i soldati delle truppe tedesche, fino alla fine del conflitto, mantennero sulle fibbie dei cinturoni il motto “Gott mit uns” (“Dio con noi”), provvedendo però nello stesso tempo a eliminare sei milioni di ebrei.

Così come si resta increduli e inorriditi oggi, di fronte alle immagini che ritraggono novelli “messia”, che propugnano l’affermazione di un fantomatico nuovo “Stato Islamico”; criminali intenti a sgozzare uomini inermi e indifesi, i quali della cultura e tradizione islamica non hanno proprio nulla, rinnegati e condannati dagli stessi responsabili delle associazioni culturali islamiche e numerosi Imam, in documenti e incontri pubblici, anche nella nostra valle.

Da quella sera me ne sono guardato bene dal fare richieste “personali”. 
E’ sufficiente per me, da allora, rendere grazie per il dono della vita e di tutto ciò che vi è ruotato attorno fino ad ora, e confido che il Padreterno, quando sarà il momento, ci vorrà giudicare con una particolare e caratteristica qualità, senza la quale saremmo tutti fatalmente perduti: un’infinita pietà.