Facciamo di tutta l'erba un fascio
II vecchio asilo di San Sebastiano è in desolante incuria. Se ne lamentano gli abitanti delle vicine case, nel cuore della frazione, che guardano all'ultracentenaria struttura con malinconico disappunto, non senza un filo di nostalgico ricordo


All'asilo di San Sebastiano sono cresciute generazione e generazioni di bambini, educati dalle suore delle Poverelle.
Lì, quando l'oratorio (costruito nel 1927) non era ancora oratorio, nel teatrino del salone si recitavano le opere, come chiamavano le commedie i lumezzanesi; lì, ancora, la domenica e nelle ore al di fuori dell'assistenza ai più piccoli, si tenevano il catechismo, i corsi per le giovani, s'intrecciavano i giochi all'aria aperta.

Insomma, per infiniti decenni, la vita infantile e giovanile di San Sebastiano è corsa tra quelle mura.
Oggi la struttura s'avvia verso la fatiscenza.
Il cortile e lo stesso ingresso sbarrato dal cancello perennemente lucchettato, sono invasi da erbacce alte più d'un metro, affioranti dall'asfalto imperiose e via via più invadenti. Di questo passo non è difficile prevedere che presto tutto lo spazio ne sarà ricoperto. I vecchi castani selvatici (le cahtegne gingia, per dirla in dialetto) sono prossimi al rinsecchimento.

Nelle fessure dell'alto muro che delimita la strada a sud, sporgono due piante di fico e boschetti vari.
La comunità di San Sebastiano ha fatto molto, ridando vita alla chiesa vecchia, a nemmeno cinquanta metri dallo stesso asilo in questione; ha portato ad autentico splendore l'oratorio, sostenendo impegni di milioni di euro, pur in tempi finanziariamente sgonfi, e si può capire che, nel contempo, sia problematico affrontare anche il discorso dell'asilo in questione.

Anche se - sottolineano i residenti - almeno all'esterno, una ripulita non scuoterebbe le finanze più di tanto.
Una porzione dei locali era stata affidata ad un'associazione benefica, ma ora anche quella parte dell'edificio è abbandonata.
Che dire? Per una volta tanto varrebbe davvero la pena fare «di tutte le erbe un fascio».

Egidio Bonomi dal Giornale di Brescia