Cha Cha Cha
di Itu

E' bello stare dentro il cerchio della danza ma anche guardare da fuori, ballare è consapevolezza dell'armonia dei nostri movimenti



Domina nella festa d'estate la serata danzante, quella del liscio, quella del telo nero sopra il qualsiasi terreno accidentato del versante montanaro davanti al palco.
Neanche il freddo delle feste ferragostane ha creato disagio, gli appassionati si sono stretti in scialli e felpe legate di sghimbescio, hanno messo le scarpe belle e gli abiti fluidi che seguono il movimento e si ritrovano al bordo pista  a scattare con un'occhiata in piedi al motivo che apre le danze.

E' un fremito d'intesa, se si parte in coppia bisogna conoscere i passi ma ancora di più l'estro che potrebbe accadere, quello spazio di danza porta inevitabilmente con se un'intimità esibita che coinvolge anche chi non balla.

Ti accorgi allora di chi balla da manuale
, dimenticando il mondo fuori da quel perimetro e che gioca il corpo pensando le figure, di chi si affida al ricordo dei passi imparati da sempre, di chi entra in pista solo o in compagnia e vuol provare quel clima speciale.

Io guardo stregata, i piedi che entrano nel passo del compagno, i centimetri che sporgono o chiudono le coppie, i respiri che si incrociano nel pulsare del ritmo ternario, il calore che sale ad ogni giravolta, il ballo fa intravedere l'energia più spietata che si possa immaginare.

La stessa energia usata per tagliare il fieno
, per allattare il figlio, per scrivere un verbale, per sciacquare la verdura, per tagliare la legna: la danza modella le nostre idee a diventar peccato.