Di-stacchi
di Itu

La cultura non sa dell'altalena dei giochi di potere tra colossi occidentali o asiatici. Al massimo rimane un'espressione di stupore, di fragile ironia che contraddistingue chi è consapevole delle alterne fortune



Non molto tempo fa è morto il maestro Zubin Metha: non una improvvisa dipartita, diciamo un deteriorarsi delle funzionalità vitali con complicanze dovute all'età.
La riflessione che succede l'evento è sul personaggio, l'eleganza del suo gesto orchestrale è un regalo che ci ha fatto senza pensarci su, era la meraviglia che nasce inconsapevole nell'estro artistico.

Io so poco del suo privato per ricamare qualcosa di sensato, so che le sue origini sono indiane, così impresse nella carne e nel suo soma che non si poteva prescindere.

Eppure già giovanissimo frequentava studi e successivamente podi occidentali a studiarne puntigliosamente la cultura, in tempi insospettabili la sua ansia di confronto era svettante nel panorama musicale classico; osava sfidare con le sue origini terzomondiste di allora il colosso ingeneroso e mortale del repertorio sul terreno dei grandi direttori degli anni ottanta, quelli che hanno segnato le sorti del nome dei più potenti teatri.

Gli è rimasta stampata sulla faccia un'espressione insolente, enigmatica e molto asiatica, un sopracciglio quasi perennemente alzato, un sorriso da Buddha sulla bocca carnosa e malandrina, il suo sapere si è trasfigurato in uno sguardo lento e pesante a cercar di capire quale fosse l'eleganza richiesta.

E' morto nel momento in cui l'opulenza occidentale sta crollando e l'India sbircia possibilità di ricchezze dimenticate nei secoli.

A qualcuno tocca significare le fratture che avvengono nella vita.