Aspettative Mondiali, delusioni bestiali
di Leretico

E' il gioco delle aspettative a rendere più o meno bruciante una delusione calcistica come quella subita dai brasiliani. Ed è sempre l'impatto emotivo a generare conseguenze macroeconomiche



Nella congerie di sentimenti, spesso contrastanti, che ha accompagnato finora la saga dei Mondiali di calcio in Brasile, spicca la disperazione dei padroni di casa, il popolo più emotivamente coinvolto con il calcio che esista al mondo, per la sconfitta disastrosa reperita per mano (e piedi) della Germania nella semifinale di qualche giorno fa.

E mi sono chiesto, guardando i giocatori brasiliani in balia della macchina schiacciasassi tedesca, come fosse possibile che una grande squadra come quella brasiliana, piena di campioni internazionalmente riconosciuti, si facesse strapazzare in quel modo da una compagine, la Germania, forte sì, organizzata pure, ma non certo per un gioco di livello trascendentale.

Mi sembrava di assistere a quelle partite di allenamento che le grandi squadre disputano durante i ritiri precampionato in amene località montane contro le squadrette locali, che finiscono regolarmente in goleade, visti i divari incommensurabili usualmente in campo.
Il fenomeno della rovinosa caduta brasiliana è stato veramente sorprendente e al contempo, per chi ama il calcio, deludente.

Per i tifosissimi cittadini brasiliani, già scandalizzati dall'onesto pareggio ottenuto contro il Messico durante le fasi preliminari, prendere sette gol in una sola partita, ben cinque nella prima mezz'ora, contro i palleggiatori teutonici deve essere stato più di una tragedia.
Alcuni hanno sfogato subito la loro frustrazione nelle strade e nelle piazze, le stesse dei festeggiamenti per le vittorie di qualche giorno prima; altri hanno pianto disperatamente, la maggior parte ha sofferto in silenzio, con quel senso di leggera depressione che noi italiani conosciamo benissimo per trascorsi simili.

Ebbene, la causa principale delle delusioni sono le aspettative: smodate aspettative provocano grandi depressioni.
Per ogni aspettativa Mondiale, dietro l'angolo si profila una delusione bestiale. E immagino quale sia stato il livello di aspettative dei brasiliani e quale la pressione sui propri giocatori, certamente non aiutati dal fatto di giocare in casa.

Le aspettative, dunque, hanno pesanti conseguenze su ciò che può accadere in futuro.
Una nazione intera, incollata davanti ai televisori, a tifare, urlare e imprecare (in portoghese) contro gli arbitri e contro le punte spuntate (povero Fred, fischiato ancor prima che immaginasse di toccare un pallone), dicevo, cotanta nazione può esercitare una pressione inaudita sui protagonisti del primo sport nazionale brasiliano, soprattutto se tale pressione è enfatizzata quasi maniacalmente dai media, che propongono insulse trasmissioni sportive fiume, popolate da strani e logorroici commentatori sputasentenze, ed è strumentalizzata dalla politica, che fa della visibilità a tutti i costi un credo religioso.

Sotto questo macigno "sisifeo", i giocatori verde-oro sono irrimediabilmente crollati. In quelle condizioni avrebbero perso anche contro una qualsiasi squadra valsabbina.
Già i segni del crollo, gli indizi di una precaria condizione psicologica, si erano visti qualche giorno prima con le lacrime in televisione di Julio Cesar, ex portierone dell'Inter. In Italia, nel calcio, ci liberiamo sempre dei migliori, mai dei peggiori; stesso difetto purtroppo anche in politica.

Più che annunciata dunque la successiva disfatta "brasilera" nelle semifinali.
Suonano stranianti, ora, alla luce veritativa dell'implacabile sconfitta, le parole di "sogno mondiale" sbandierate in più di una occasione da quasi tutti i giocatori della Seleçao: le aspettative, tratteggiate da un vago sentimento di tragica passione operistica, li avevano spinti tanto fuori dalla realtà che il risveglio, al suono dei gol tedeschi di martedì scorso, è stato una punizione collettiva così dolorosa che sarà ricordata negli annali della storia del calcio, al pari delle più grandi vittorie, se non oltre.

Si discute da sempre di quale vantaggio economico possa portare la vittoria di un Mondiale per la nazione che alza la coppa al cielo, come toccò all'Italia nel 2006.
Tenendo in giusta considerazione le aspettative, così importanti per certe teorie economiche moderne, così come possono deprimere se sono troppo elevate, altrettanto possono esaltare quelle nazioni che all'inizio ne dimostrano di equilibrate.

Si sa, l'emozione è contagiosa, ed è sul contagio positivo di una vittoria mondiale che potrebbe giocarsi il riscatto sociale ed economico della nazione vincente. A tale riscatto pensavano milioni di brasiliani, al medesimo riscatto stanno pensando gli argentini, sull'orlo di un'altra devastante crisi finanziaria.

Domenica prossima, con la finale, si chiuderà il sipario su una splendida manifestazione sportiva.
I suoi protagonisti, i moderni gladiatori in pantaloncini corti che mai si stancano di correre dietro ad un rotolante balocco di indocile rotondità, deponendo le sudate armi a forma di scarpette, torneranno a casa vincitori o sconfitti.

Un giorno prima della finale, all'ombra di quel castello di aspettative semi-crollato sotto i colpi delle inconsistenti e quasi ripugnanti prove degli azzurri di mister Prandelli, ho ancora dei dubbi su quale squadra, tra Germania e Argentina, sceglierò di appoggiare moralmente per la vittoria finale.

Se vincessero i tedeschi potrebbe aumentare la loro fiducia per il futuro, la loro autostima, cosa che si riverberebbe, in termini economici, su tutta l'Europa e forse anche sull'Italia.
Pensando però che i tedeschi di autostima ne hanno già tanta, troppa, visto che le condizioni economiche dell'Argentina sono peggiori di quelle germaniche e italiche, andrà a finire che tiferò per l'Argentina di Messi e di Higuain. Li sento più vicini al mio modo di intendere il calcio di quanto lo siano i tetragoni pallonatori alemanni.

In ogni caso, e per il senso che ovunque dovrebbe avere lo sport, vinca il migliore.

Leretico