Una «i» di cinquanta metri
di Ezio Gamberini

Quanta pioggia in questo maggio. Non c’è tregua: ogni giorno, uno spruzzo il mattino e/o un temporale nel pomeriggio non mancano mai!


Giovedì sera, torniamo a casa dal lavoro e per prendere una boccata d’aria esco sul balcone che permette di osservare tutta la via don Belli.
S. è chino a terra, proprio davanti al mio cancello, intento a tracciare una riga con un grosso gessetto.
E’ un bambino intelligente e riflessivo, e mi piace enormemente conversare con i suoi nove anni di straordinaria e spensierata simpatia.

«Ciao, stai disegnando?»
«No, sto scrivendo»
«Che cosa: una frase, una parola ?»
«No, una ‘i’, ma gigante! Sono partito là in fondo – e m’indica il pilastro all’inizio del viale, posto a una trentina di metri – e arriverò davanti alla mia cancellata (che dista venti metri)»

«Ah, meno male, soltanto una ‘i’. Pensa se tu avessi voluto scrivere ‘ciao’. La ‘c’ avresti dovuto cominciare a scriverla sulla tangenziale, ai piedi della montagna, la ‘i’ qui in via don Belli, la ‘a’ in via Santa Lucia e la ‘o’ in Piazza Martiri della Libertà, vicino alla chiesa! Però, caro S., per divertirci davvero avremmo dovuto scrivere la parola ‘irriflessivamentissimamente’, ventisette lettere, superlativo di ‘irriflessivamente’: la prima ‘i’ qui in via don Belli e l’ultima ‘e’ su in Valvestino!»

Oddio, sapevo che è “mattocchio” come e forse più di me, ma il piccolo sta prendendo la faccenda in seria considerazione! Estrae dalla tasca altri due pezzi di gesso:

«Ho qui le scorte, ma adesso finisco la ‘i’ »
«Maiuscola o minuscola? Perché se la fai minuscola, per la gambina devi proseguire in discesa e poi risalire in via del Poiat, mentre il puntino lo devi fare su al “Casello”!»
«No, no, la faccio maiuscola…»


Meno male, per il maiuscolo non ci vuole la gambina, e neppure il puntino.
Lo lascio finire, e rientro in casa.

Venerdì mattina, ore sette e trenta. Estraggo la macchina dal garage e risalgo lo scivolo, parcheggio davanti al cancello, osservo il viale e comincio a ridere, in attesa di Grazia.
Quando arriva le mostro il lavoro del geniale S.: una ‘i’ maiuscola lunga cinquanta metri e larga tre!
Continueremo a ridere fino a Salò. Ah, che bella giornata!

… Pioggia, ancora pioggia, così quando a sera torniamo a casa, l’opera è svanita.
Poco male, perché quella ‘i’ ci resterà nel cuore, e il piccolo S. dispone ancora di venti lettere dell’alfabeto italiano, oltre a qualche altro miliardo d’idee, per stupirci e allietare l’animo nel prossimo futuro.