Lago d'Idro: Deus non vult
di Leretico

Quando leggo sul lago d'Idro, sulle posizioni di chi si lamenta delle cicale sentendosi ovviamente virtuosa formica, non posso fare a meno di ricordare lo straordinario film del 1966 di Monicelli, "L'armata Brancaleone"


... E non è né per le formiche né per le cicale che me ne ricordo, ma per la struttura comunicativa e storica su cui tale narrazione si svolge: la gente povera del XI secolo e i soliti furbi che la vogliono guidare.

La cosa è tristemente divertente: triste perché dimostra quanto certi schemi si ripetono; divertente perché Enrico Maria Salerno e Vittorio Gassman raggiungono picchi elevatissimi di comicità.

Facciamo quindi un parallelo per spiegare cosa c'entra il lago d'Idro: nel film di Monicelli si rappresenta un gruppo di improbabili personaggi diretti alla liberazione del Santo Sepolcro, sotto la guida di un eroe sgangherato, Brancaleone, e di un santone invasato, Zenone.
Il Santo Sepolcro è meta ideale, sacra, popolare, importante. La sua liberazione, il suo salvataggio, somiglia straordinariamente, nella storia valsabbina, a quello del lago d'Idro. Una crociata nel film, una crociata in Valsabbia; una guerra in nome di Dio nel film, una guerra per l'ambiente a Idro.

Già l'unione di Dio con la guerra dovrebbe far sorgere dubbi profondi, ma nel XI secolo certe domande non se le ponevano, e molti purtroppo anche oggi. Altrettanti dubbi dovrebbe far sorgere l'unione di ambiente e guerra. Dove c'è una guerra infatti ci sono sempre interessi impronunziabili, nascosti, immorali. Ma non anticipiamo troppo, andiamo per gradi.

Allora, dicevamo: un comandante alla Don Chisciotte e un pretaccio medievale da un lato.
Dall'altro il popolo misero, sconfitto, indifeso e facilmente manipolabile. Tutti insieme, in viaggio a piedi verso il Santo Sepolcro, cantando, guidati dal pretastro manipolatore dotato di bastone, borraccia e campanaccio.

Ad un certo punto, lungo la via si profila un passaggio pericoloso: un cavalcone (passerella), alquanto fragile al primo sguardo, si protende insicuro sopra un minaccioso fiume tra le rocce. Impossibile ignorarlo se si vuole continuare verso la santa meta.
Di fronte alla paura dell'attraversamento che serpeggia nel gruppo, Zenone interviene con voce isterica: "Homini di poca fede! Chi regge lo cavalcone è la mano di Dio. Abbiate fede, non temete sono qui io con voi".

Anche Brancaleone interviene e, ad uno ad uno, in "fila longobarda", l'armata di straccioni comincia a passare sul cavalcone per raggiungere la riva opposta. Senonché, quando tocca al più grosso della compagnia, un barbuto pecoraio, occorre un supplemento di incitazione: "O homo di poca fede" grida Zenone, "transea! Suvvia non dubitare".
Non l'avesse mai detto: nel bel mezzo della passerella, un piede in fallo e il panciuto pecoraio, improvvisato crociato, finisce la sua povera vita nel fiume sottostante.

Zenone di fronte all'accaduto e alla costernazione generale non perde il controllo, anzi, con atteggiamento mistico e tono predicatorio declama:
"Dio ha levato la mano. Ma perché ha levato la mano? Lo sapete voi? Perché intra noi si annida l'impurità! Qualcuno intra noi non ha fede! Chi non ha fede?"
"Tutti abbiamo fede, padre" mormorano i superstiti dell'attraversata. In verità tra di loro c'è l'ebreo Abacuc, vecchietto innocente e divertente, facile capro espiatorio.
"No, io la mia fede ce l'ho, siamo tutti amici qui" afferma Abacuc.
"Ah, orrore, sei tu forse un eretico?" riprende il santone inviperito. Insomma alla fine obbligano Abacuc al battesimo forzato (per fortuna non al rogo come mi sarei aspettato).
Ed ecco, sollevato con forza dagli altri, Abacuc viene portato sulla sponda impervia del fiume e appeso sotto l'acqua per essere "mondato" dalla sua eresia.

Subdolamente, una violenza viene nascosta con un'altra violenza, una responsabilità, la morte del pecoraio, occultata cercando la colpevolezza negli innocenti, negli umili, in quelli fuori dal gioco. E tutto rigorosamente in nome di Dio.
Questo è il vero mestiere dei falsi guru. C'è sempre un poveretto a farne le spese, pronto per essere marchiato come eretico e sacrificato per consolidare il potere. Forse anch'io, col nome che porto, dovrei preoccuparmene.

A questo punto fate una semplice sostituzione di parole: al posto della parola "Dio" mettete la parola "ambiente" e ritroverete d'incanto la storia del lago d'Idro: un popolo sincero, memore di ciò che gli è stato sottratto, che si affida allo Zenone di turno in nome di un valore superiore, una difesa importante.

E giunto al passaggio più difficile, quello di scegliere la soluzione più equilibrata e sostenibile per il lago, si mette nelle mani sbagliate, incitato dalle voci isteriche dei falsi ambientalisti, dei falsi guru, dei biechi santoni che soffiano sulle braci della discordia per aumentare solo il proprio potere personale.
Giunto al momento di fiutare il pericolo, che i manipolatori tendono a minimizzare, il popolo non si avvede dell'inganno e cade dalla passerella.
Ahimè, non si accorge che i santoni hanno già venduto l'ambiente in cambio di decine di migliaia di metri quadrati di cemento a vantaggio dei soliti noti. Cade tradito senza conoscere i nomi di chi tira le fila, di chi aspira a raccogliere i frutti di questo ennesimo sacrificio.

Ma "L'armata Brancaleone" ci riserva una sorpresa: un'altra passerella da superare, un altro cavalcone da affrontare. Questa volta Zenone si fa prendere la mano. Visto il precedente successo, per bloccare sul nascere ogni protesta dell'improbabile truppa, colto più del solito da un attacco di isterico misticismo, decide di saltare con forza al centro della passerella per dimostrare quanto fosse forte la sua fede nella protezione di Dio.

Questa volta, però, Dio non lo protegge. Sembra che finalmente si sia accorto della necessità di fare giustizia. Ed è così che, mentre il pretaccio salta con maggiore violenza sulla passerella gridando "Deus vult - Dio lo vuole", un fracasso blocca il respiro degli armigeri: la passerella si rompe e Zenone sprofonda con un drammatico urlo nel tetro burrone sottostante.
Un senso di liberazione si irradia repentinamente nella truppa. Tutti si sentono sciolti dall'impegno della crociata: Dio ha mandato un segno, ha levato la mano: "Deus non vult - Dio non vuole".

Come non sognare un finale del genere anche per Idro: che la gente possa riuscire a dire in faccia ai santoni dell'ambiente: "Deus non vult", fine alle guerre insensate. E possa comprendere fino in fondo il senso di questa mite poesia:

Sul nostro lago non si mente
non si usano i sentimenti della gente
per nascondere il proprio nascosto conto corrente.

Il lago è stato venduto
da chi ha fatto finta di averci creduto
e mentre gridava per un giusto destino
reclamava soltanto per il proprio giardino.

Ma è venuto il momento del vero fermento
il momento più serio perché non emerga che il vero.
Siam stufi di gufi che voglion salvare
quando invece lavoran per tutto disfare.

Son tutti i giorni a soffiare sul fuoco
a credere il lago una pietanza da cuoco.
Non si inganni il fedel cittadino
su chi vuole salvare il proprio giardino.

Fate due conti, se non siete tonti
metteteci il senno, al fin con gusto
per individuare il colpevole giusto.

A chi è rimasto un filo di senno
metta con garbo un poco di impegno
non si risparmi un minimo accenno
se vuole per il lago essere degno.

A chi nasconde il proprio tornaconto
rispondiamo con forza: io non son tonto.

Leretico (Abacuc)

Su youtube il video a cui ci si è ispirati