Paolo Sorrentino apre il Bif&st 2014
di Nicola Cargnoni

Nella suggestiva cornice del Teatro Petruzzelli di Bari, il Festival giunge alla sesta edizione, con un programma più ricco che mai.
Ecco il resoconto e una scheda dei film visti fino a oggi



È  partito sabato 5 aprile il Bari International Film Festival che durerà fino a sabato 12.
Passato dai 25 mila spettatori del 2009 ai 70 mila del 2013, il festival coinvolgerà il Teatro Petruzzelli e alcuni dei cinema del centro di Bari, ospitando una serie di eventi, incontri, registi, attori, produttori, film vecchi e nuovi.
Oltre ad alcuni attesi e importanti film che saranno proiettati in anteprima, la sera, al Petruzzelli («Noah» di Aronofsky, «Grand Budapest Hotel» di Wes Anderson, «Gigolò per caso» di John Turturro).

Con più categorie in concorso, il Bif&st 2014 sarà dedicato all’attore Gian Maria Volonté, in occasione del ventennale dalla sua scomparsa: saranno proiettati gratuitamente molti film che lo hanno visto protagonista e documentari a lui dedicati.
Ogni mattina alle 9 ci saranno proiezioni gratuite, alle quali seguiranno incontri con i registi dei film proposti (tra i quali Paolo Sorrentino, Sergio Castellitto, Cristina Comencini, Ugo Gregoretti).

Chiuderà la serie di “lezioni di cinema”
l’incontro con Andrea Camilleri sabato 12 a seguito della proiezione di «A ciascuno il suo», film da lui sceneggiato.
Lungometraggi stranieri e italiani, cortometraggi e documentari sono le categorie in concorso, oltre ai numerosissimi omaggi a Volonté.
A seguito di questi ci saranno incontri con alcuni dei cineasti che hanno collaborato con l’attore, da Gianni Amelio a Giuliano Montaldo, da Marco Bellocchio a Francesco Rosi.

Paolo Sorrentino sale sul palco di uno stipato teatro Petruzzelli alle 11.30 di domenica 6 aprile, aprendo la serie di incontri che animeranno le mattine del teatro.
In una piacevole intervista moderata da Malcom Pagani, il regista racconta molti aneddoti sul rapporto con l’attore Toni Servillo, sull’elaborazione dei personaggi, sui legami con la letteratura, via via fino ad argomenti più spinosi come la difficoltà di fare film “importanti” in Italia.

Parla dei protagonisti dei suoi film, in genere personaggi asociali che non sono del tutto emarginati, ma persone problematiche e che vivono una presa di distanza dall’attuale e orrifica società, che in realtà rispecchia i soggetti stessi delle pellicole di Sorrentino.
Si concentra su Gambardella, protagonista di «La grande bellezza», il quale «è conscio dell’orrore che lo circonda, ma mantiene un legame con esso per non dover fare i conti con l’orrore che ha dentro, che sa essere sicuramente peggiore».

«Non sono stato ascoltato» è il suo commento a fronte del tanto “chiacchiericcio” che si è sviluppato attorno al suo film.
«Hanno parlato tutti, tranne che me».
Poi rimanendo in tema di personaggi asociali, passa a parlare di «Il divo», il suo film-capolavoro su Andreotti, il quale gli aveva sconsigliato di fare il film in quanto «la sua vita non valeva la pena d’esser raccontata».

A proposito di questo, Sorrentino è chiaro: «Quando Andreotti mi ha detto che non valeva la pena fare un film sulla sua vita, credo fosse sincero. Per lui la sua vita non valeva la pena d’essere raccontata, perché per lui era del tutto naturale essere un uomo di potere. Lui in questo era OLTRE il cinismo, nella stessa maniera in cui fare sesso equivale ad andare a comprare il pane».

Molto interessanti
il momento in cui spiega la differenza tra le idee (che diventano film) e le trovate (che finiscono nel cassetto o nel cestino), e quello in cui afferma di porsi sempre il problema dell’appeal col pubblico e dell’aspetto industriale dei suoi film: «Non mi interessa fare film piccoli, che si limitano ai piccoli festival e a un pubblico di nicchia».
Sostiene inoltre che quando concepisce un film pensa sempre all’attore e ciò lo aiuta a delineare il personaggio.

Tante e variegate le domande del pubblico, alcune banali, altre meno, tra le quali ne spicca una che riguarda certe critiche che hanno bollato il film come «irreale e finto».
«Il film è finzione, deve essere verosimile ma NON deve essere la rappresentazione della realtà. Deve essere il risultato di ciò che il regista vuole comunicare, di ciò che vuole raccontare e di ciò che NON vuole raccontare».

Di seguito ecco alcune brevi schede dei film visti fino a ora. Altri aggiornamenti nei prossimi giorni.

SABATO 5 APRILE

Titolo, paese e anno, durata: Come il vento, Italia 2013, 110’
Genere: drammatico
Categoria di concorso: lungometraggi italiani
Cast: regia di Marco Simon Puccioni; con Valeria Golino, Filippo Timi, Francesco Scianna
Nelle sale: passato a fine 2013

Presenti in sala il regista Puccioni e l’attrice Valeria Golino, che parlano delle difficoltà incontrate e superate durante la realizzazione del film. Ambientato nelle carceri, racconta la storia di Armida Miserere, direttrice di alcuni importanti penitenziari, e lo fa dal suo punto di vista, abbandonando la tradizione del cinema “dalla parte dei detenuti”. I timori erano quelli di non riuscire a completare il film e di non trovare distribuzione.

La storia va dal 1990, anno dell’omicidio del compagno della Miserere, fino al 2003, anno in cui la direttrice gestisce il carcere di Sulmona.
Ottima la regia, che utilizza la sovrapposizione di piani temporali. Filologicamente corretta, ha degli ottimi spunti e si serve di un buon cast.
La Golino corre il solito rischio di non essere sempre empatica con lo spettatore, ma ben incarna la crescita interiore del personaggio (che si rivela essere un logoramento vero e proprio).
Il film è una storia di un personaggio importante, ma il pathos non “arriva” quasi mai allo spettatore. Ben fatto, ma nulla di imperdibile.
Valutazione: **½  

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Unique, Italia 2014, 75’
Documentario, inchiesta
Fuori concorso; anteprima mondiale
Regia di Gianni Torres
Nelle sale: prossimamente

Anche questo film è preceduto da una breve presentazione da parte del regista stesso. Presente in sala Mariela Castro.
Ottimo l’inizio, buona la regia, interessante la fotografia; il film è diviso in capitoli, partendo dalla storia di una ragazza leccese che è stata la prima transessuale a entrare in un conservatorio; cantante lirica con voce da uomo (baritono), mette in mostra con coraggio le proprie capacità, le idee e le debolezze.

Il film è ben strutturato con le testimonianze di un importante chirurgo thailandese che opera il cambio di sesso e uno psichiatra barese che nel 1990 ha fondato a Londra il primo centro di supporto per gli adolescenti che sono in crisi di identità di genere; è un buon film, fino all’ultimo quarto d’ora dove la protagonista è Mariela Castro; si sentono decine di volte le parole “rivoluzione cubana”, “socialismo”, oltre a lodi sperticate per Che Guevara.

La Castro urla e lo spettatore cerca di capire quale sia la differenza tra lei e il Mussolini che dichiarava guerra dal balcone romano.
L’ultimo capitolo è intitolato “Diritti umani” ma è un manifesto di propaganda politica per la Cuba attuale che, guarda caso, ora si accorge dei gay che sono una buona fetta della popolazione, dopo 50 anni di segregazioni e repressioni. Diritti umani o propaganda di regime?

Il film parte come un’ottima indagine sul mondo della trasformazione dell’identità di genere e finisce come becero spot della ormai cinquantennale “rivoluzione socialista”.
Non adatto a chi ha l’arrabbiatura facile.
Valutazione: *½, peccato, un’occasione persa.

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Un uomo da bruciare, Italia 1962,  91’
Drammatico
Fuori concorso; tributo a Gian Maria Volonté
Regia dei fratelli Taviani e Valentino Orsini; con Gian Maria Volonté, Didi Perego, Turi Ferro

Viaggio nel mondo di un uomo solo contro tutti.
Salvatore rientra in Sicilia dove cerca di scuotere i propri compaesani a occupare i fondi terrieri e ribellarsi alla logica mafiosa.
In un perverso meccanismo, gli amici di un tempo si lasciano piegare dalle intimidazioni, ma soprattutto dalla forza dell’abitudine e dalla cultura latifondista che caratterizza la Sicilia degli ultimi mille anni.
Salvatore rimane da solo con le sue idee.

Con una regia che mostra paesaggi meravigliosi e servendosi di alcuni spunti di altissimo livello, i fratelli Taviani mettono in mostra le sofferenze umane con lo sfondo di una terra arida e inospitale, dove le zappe di molti sono al soldo dei fucili di pochi.
La valutazione è decisamente positiva: ***½