Storia di una ladra di libri
di Nicola Cargnoni

Una fiaba di libri e sogni al tempo del nazismo, con un ottimo cast.
Non basta, però, a fare di questo film un prodotto che poteva essere certo migliore



Stiamo vivendo un periodo piuttosto “povero” per gli amanti del cinema di genere.
Dopo la “disastrosa” settimana del 20 marzo, dove non ci sono state uscite davvero degne di nota (tranne, forse, «Jimmy P.» di Desplechin e «Presto farà giorno» dell’italiano Ferlito che, manco a dirlo, ha avuto una distribuzione quasi inesistente), è la volta di questo week end, la cui offerta permane povera (escludendo il fumettone «Captain America» che sicuramente otterrà un buon successo al botteghino).

Per cui alla forte voglia di cinema
occorre rimediare scegliendo quello che sembra il “meno peggio” tra i film in cartellone.
«Storia di una ladra di libri» è l’ultimo lavoro di Brian Percival, che si serve di un cast eccezionale per trasporre su pellicola il romanzo «La bambina che salvava i libri» di Markus Zusak.

L’emergente Sophie Nélisse (già protagonista del favoloso «Monsieur Lazhar») interpreta la protagonista Liesel, figlia di una dissidente comunista nella Germania nazista del 1938; Liesel viene adottata dai coniugi Hubermann (interpretati dagli ormai affermati Geoffrey Rush ed Emily Watson) in un villaggio dove la ragazzina fa amicizia con il piccolo Rudy.

La narrazione, che a volte è supportata da una voce fuoricampo che è quella della Morte, è abbastanza scorrevole grazie a una regia priva di particolari slanci tecnici, che si mantiene nei binari dell’ordinarietà.

Il taglio è quello fiabesco, con i classici personaggi da “favole della sera”: la ragazzina costretta ad abbandonare la madre e che subisce la perdita del fratellino, adottata da un padre saggio e buono e una madre rude e brusca, ma che si rivela, in fondo, un’anima gentile; il nazista borgomastro (l’equivalente del podestà fascista) che è sposato con una donna che prende in simpatia Liesel permettendole di accedere alla biblioteca dove conserva i libri del figlio morto durante la prima guerra mondiale.

Inoltre assistiamo alle fasi concitate che portano alla seconda guerra mondiale: dalla notte dei cristalli, durante la quale l’ebreo Max fugge di casa per rifugiarsi proprio presso gli Hubermann, fino ad alcuni dei momenti salienti del conflitto, visti con gli occhi degli abitanti del piccolo villaggio, nel quale si vive la tensione e l’attesa dei bombardamenti e il malinconico rito della partenza in guerra dei padri di famiglia.

Grazie al padre adottivo, alla moglie del borgomastro e a Max, la piccola protagonista impara a leggere, affrontando i difficili momenti della guerra (e della clandestinità di Max) con una gran quantità di romanzi dai quali apprende concetti e parole.
Riuscita metafora della letteratura che salva l’anima dalle pene e dalle sofferenze della vita, in una Germania dove i libri diventavano grandi falò, il film è un ottimo prodotto se lo si intende come destinato a un pubblico di giovani e giovanissimi.
In effetti il regista accentua maggiormente il pathos sentimentale e le relazioni interpersonali, penalizzando abbastanza il resoconto storico e (dis)umano della tragedia nazista.

Nonostante alcuni errori filologici (il film è ambientato nella Germania di fine anni Trenta, ma i protagonisti leggono e scrivono in inglese), il prodotto finale non è certo da buttare via, se non altro per il messaggio che vuole far passare.

Tutto sommato, alla fine dei (forse un po’ tanti) 130 minuti, «Storia di una ladra di libri» riesce a strappare una lacrimuccia e anche la sufficienza: **½.