Lectio magistralis di Emanuele Severino
di Dru

Proseguono le discussioni filosofiche del nostro Dru, disposto come sempre, su sollecitazione dei lettori, ad approfondire le tematiche via via affrontate


Destino al dominio della tecnica

Quello che possiamo chiamare il mortale é il fedele nel diventar altro, é colui che si muove all'interno della fede nel diventar altro, delle cose, e qui degli essenti quindi vuol dire successivamente al periodo preontologico.

Per il mortale tutto ciò che sopraggiunge é un diventar altro, chiamiamo terra tutto ciò che sopraggiunge e chiamiamo terra isolata dal destino, tutto ciò che sopraggiunge all'interno della fede che i mortali hanno nel diventar altro delle cose e degli essenti.

Terra isolata dal Destino include tutte le sapienza in cui ci troviamo fuorché il Destino, il Destino essendo lo stare della verità, che non é episteme della verità, il Destino essendo la negazione di questo luogo immenso che possiamo chiamare la storia del mortale, che include, della sua fase più radicale, la storia dell'Occidente.

All'interno della terra isolata, che abbiamo definito, e che richiamiamo ancora una volta, é la totalità di ciò che sopraggiunge all'interno della fede nel diventar altro delle cose sopraggiungenti.

All'interno di questa fede, che include le bellezze, le sapienze, le forze della non-verità, e che tuttavia hanno questi caratteri di bellezza, potenza, nobiltà, altezza e che hanno questi caratteri perché, e noi di Lucifero, che é la negazione, dal punto di vista di una coscienza cristiana, che é la negazione di Dio e cioè della verità somma, dal punto di vista della coscienza cristiana, noi di Lucifero non diciamo che sia  uno che non sa pensare, ma anche la parola stessa significa portatore di luce.

È difficile pensare che la passione secondo San Matteo o la teoria della relatività o la pietà del Michelangelo appartengano al negativo, ma il negativo più alto e più rilevante é ciò senza di cui non potrebbe essere e apparire il positivo.
Ci possiamo allora spiegare come ad un tempo la non verità sia piena di quelle categorie della bellezza della potenza a cui facevo riferimento prima.

All'interno della terra isolata la fede nel diventar altro rende possibile la volontà che le cose divengano altro, scatena la volontà, rende possibile la volontà e la scatena nel senso che la volontà vuole sempre di più.
All'interno di questa prospettiva ha senso chiedersi che  cosa devo fare .
Perché é all'interno della volontà che acquista significato il fare e il dover fare.

Da sempre l'uomo si chiede che  cosa deve fare dando  la risposta coerente alla dimensione allineata in cui si trova e cioè, sia  la risposta dell'uomo di Potere sia la risposta dell'uomo Etico, che cosa devo fare, se sono capace di rintracciare in che cosa consista la somma potenza, allora debbo adeguarmi alla somma potenza se voglio sopravvivere, se voglio a mia volta essere potente.

Il tema dell'alleanza così ricorrente nelle religione e in particolare nei testi biblici  é il tema dell'alleanza con Dio.
L'uomo etico non é l'uomo imbelle che di fronte alla potenza dell'uomo che ha potenza militare o politica o economica è emarginato dalla potenza autentica ma anzi, l'uomo etico é quello che crede di rintracciare in che cosa consista l'autentica potenza, squalificando al rango di illusorietà il tentativo di essere potente da parte di coloro che ad esempio stando all'interno della coscienza cristiana non capiscono che la vera potenza è di Dio in cui il regno non è di questo mondo.

È all'interno della terra isolata che acquista significato che cosa devo fare.
Devo allearmi alla potenza suprema.
Le stesse parole che noi indichiamo alla correttezza morale alludono alla forma radicale di potenza, la parola  principe è virtù.

Ma sia la parola latina, virtus, in cui risuona la parola vir, cioè il vivente più potente, ritenuto più potente rispetto alla femmina, sia la parola areté che in greco si riferisce alla parola latina virtus, si riferisce innanzitutto  alla potenza.

L'uomo virtuoso non è l'uomo mieloso che noi siamo abituati a considerare tale all'interno del nostro modo di vivere, l'uomo che si rifugia in un angolo di fronte alla potenza, il virtuoso è appunto colui che si è alleato con ciò che è in verità e in verità è la suprema potenza e nell'episteme la suprema potenza è l'immutabile, il satollo, il pieno, l'immodificabile.

Se loro ricordano quel momento importante in cui si diceva della necessità del tramonto degli immutabili, la necessità di ciò che viene alla luce di ciò che abbiamo chiamato il sottosuolo del pensiero filosofico contemporaneo, che é insieme il sottosuolo essenziale del nostro tempo, allora ricordano che la condizione della destinazione della tecnica al dominio è l'unione della potenza tecnica con la coscienza filosofica che non esistono limiti che tale coscienza non possa oltrepassare.

Da un lato ecco per esempio il discorso di Nietzsche, Dio è morto, proprio perché Dio è morto dunque è autorizzato  l'incremento indefinito della potenza.

Se così stanno le cose allora la domanda che cosa devo fare nella dimensione che possiamo chiamare la civiltà della tecnica, nella dimensione dell'avvicinamento e poi dell'unione con il sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo, e allora all'interno di questa dimensione, che abbiamo cominciato a tratteggiare con il termine di terra isolata, anche all'interno di questa dimensione  si ripropone il concetto di virtù e di areté che caratterizza la potenza sia dall'inizio, l'alleanza con la suprema potenza.

Che cosa ha diritto oggi di essere qualificato come la suprema potenza? è appunto la tecnica, ma non la tecnica ingenuamente intesa, e ingenuamente si intende scientisticamente  e tecnicisticamente intesa, suprema potenza è appunto la tecnica in colloquio con il sottosuolo del pensiero contemporaneo, si che oggi in relazione alla civiltà della tecnica che cosa si deve fare, all'interno ripeto della terra isolato il cui isolamento dal destino culmina con la civiltà della tecnica?
Si deve non ostacolare il processo che conduce alla dominazione della tecnica.
A volte parlo di grande politica nel senso che, ancora se la politica non capisce la destinazione  della tecnica al dominio, allora si trova appunto nella condizione di non essere  la grande politica, ma di essere l'incosapevolezza del luogo in cui l'uomo oggi si trova.

La politica  che non è grande è la politica che non sa in che cosa consiste il processo in cui noi ci troviamo, perché non basta fare appello alla volontà dei singoli, o dei gruppi, o dei partiti per avere la grande politica, o per capire la situazione in cui oggi noi ci troviamo, bisogna anche conoscere verso dove il flusso storico conduce.

È come se noi ci trovassimo in una imbarcazione e facessimo affidamento soltanto sulle decisioni di chi si trova nell'imbarcazione senza tener conto della potenza della corrente, della velocità della corrente, delle rapide a cui l'imbarcazione va incontro.

C'è un movimento storico, tanto per intenderci oggi che non si studia più Marx, e però non si tiene conto che, all'opposto di ciò che si crede e cioè che Marx avrebbe insistito eccessivamente sull'oggettività del processo storico, qui il discorso conduce non all'abbandono della tesi marxiana dello sviluppo storico necessario, ma all'intensificazione infinita di questa tesi, cioè la necessità del movimento storico di cui si può parlare all'interno dell'episteme è una necessità destinata a tramontare, come tramontano gli immutabili, così  tramonta quell'aspetto  degli immutabili  che è il fatalismo, che è il determinismo, e quindi ogni filosofia della storia...
Noi qui stiamo dicendo che ogni filosofia della storia, che con il tramontare degli eterni è stata squalificata in sede filosofica innanzitutto, ma anche in quella sociologica, psicologica, è stata squalificata nel senso che il futuro è imprevedibile, ecco questa necessità del flusso storico è invece debole rispetto alla necessità che appare all'interno dello sguardo del destino che guarda appunto ciò che sopraggiunge.

La grande politica è quella che si rende conto della inevitabilità che le forze che si servono della tecnica da scopi della tecnica divengano mezzi.

Si continua a parlare di necessità al ritorno della politica senza mai che ci si chieda se della politica, o della democrazia, o del cristianesimo, o dell'islam, o del capitalismo, senza che mai ci si chieda di queste forze, se le si vuole reintrodurre come mezzi o come scopi, perché altro è la politica supponiamo democratica come forma politica emergente nel mondo occidentale, altro è la politica come dimensione ideologico concettuale che intenda servirsi della tecnica per promuovere un certo ordinamento sociale, altro è la politica di cui la tecnica è destinata a servirsi per realizzare quello che è lo scopo specifico della tecnica, e cioè l'incremento indefinito della potenza.

Cosa può il mortale fare oggi, il mortale è l'uomo che all'interno della terra isolata vuole il diventar altro e che spinge il suo voler che le cose divengano altro fino al culmine in cui consiste la  civiltà della tecnica, ebbene, oggi la civiltà della tecnica è la forma più alta della potenza, e da questo punto di vista la critica alle forme di politica che non hanno il carattere della grande politica, la critica consiste appunto  nel dir loro che è inevitabile che si dispongano come mezzi per la realizzazione dello scopo che è proprio dal tecnica in quanto unita al pensiero filosofico.

Che cosa allora deve fare l'uomo oggi, che potremmo definire il mortale tecnico, adeguarsi alla suprema potenza in cui consiste la tecnica, e in che cosa consiste la suprema virtù etica? la suprema moralità dell'uomo tecnico? Nel tener conto della corrente di cui parlavo prima e non semplicemente Aldo degli atti di volontà dei singoli che si trovano nella imbarcazione nella corrente, c'è nella corrente oltre la corrente le volontà degli individui, e  siccome omnis comparazio claudicat le volontà individuali appartengono alla corrente, cioè il flusso storico procede includendo come elementi le decisioni e le volontà individuali.

Che cosa devo fare io oggi in quanto uomo tecnico? Rendermi  conto di quello che abbiamo detto, della destinazione della tecnica al dominio nel senso che abbiamo chiarito sottolineando la convergenza tra  potenza tecnica e  sottosuolo del pensiero contemporaneo...,

questo è il dover fare in relazione all'uomo tecnico.


A domande,  per quello che posso fare, sono lieto di rispondere.