«Ma set dre a schersà?»
di Il papà di Lorenzo

Caro direttore, sono il papà di Lorenzo. Ci risiamo, e da poco cominciata una nuova stagione calcistica e già mi ritrovo a chiederle spazio per esternare il mio malumore


Domenica si gioca in casa; ci aspetta un pomeriggio con tre partite.
La prima il derby, le nostre due squadre che si incontrano per la seconda volta questo anno; il fato e la necessità hanno voluto che mi trovo avversario di Lorenzo (lui fa parte della squadra A, io alleno la B), perdiamo nuovamente, questa volta con un più confortante 2-1, i bambini migliorano gara dopo gara, si impegnano e soprattutto si divertono.
 
Lorenzo questa volta non segna, nella scorsa partita ha realizzato il suo primo gol ufficiale, devo ammettere che è stata le prima volta in vita mia in cui sono stato felice di subire una rete.
Tutti negli spogliatoi.
 
Seconda partita.
Due squadre esterne che s’incontrano sul nostro campo, io dirigo la gara, in due minuti passo da allenatore ad arbitro, (ho scoperto che fare l’arbitro non è un lavoro ambito).
 
Inizia la gara, meta del primo tempo, scontro fortuito in area, l’attaccante cade, faccio proseguire e dalla panchina mi chiedono il rigore, che ovviamente non concedo, (dovrei fischiare almeno una decina di rigori così a partita), il giocatore si rialza e nell’azione successiva, pensa bene di rincorrere un difensore e di rifilagli un bel calcione, il famoso fallo da dietro, per essere preciso punibile con un cartellino, magari rosso, cartellini che io non possiedo, fischio, fermo il bambino e gli dico: "Così no!" e per essere più incisivo aggiungo: "Se fai cosi ti butto fuori!", ma inteso come, ti prendo di peso e ti porto fuori dal campo.
 
Il suo allenatore invece di richiamare alla correttezza il bambino, inveisce e mi chiede perché, perché, molto agitato, mi ricorda che prima era rigore.
Il gioco riprende, qualche minuto dopo, sono entrambi gli allenatori avversari ad accapigliarsi per l’ormai famoso rigore, un che ripete: "Era rigore, era rigore, era rigore", l’altro che risponde con un semplice: "Ma set dre a schersa!" sono imparziale, ma il secondo era più simpatico.
 
Secondo tempo, un bambino palla al piede mi urta, schiamazzi, con i vari "arbitro" che si alzano dalla tribuna, un papà più insistente, a mani giunte, nel classico gesto del … "ma come si fa, ma come si fa", cosi che lo chiamo e gli chiedo se vuole continuare lui al mio posto, ma si è rifiutato.
Siamo quasi allo scadere una giovane, elegante e distinta mamma mi urla un becero "TEMPO" così che le devo ricordare che lo so, che sono l’arbitro, che ho appunto l’orologio per cronometrare il tempo, e che manca un minuto alla fine dell’incontro e anche questa si ammutolisce. Dopo un minuto, appunto, fischio la fine.
 
Terza partite tutto fila liscio.
 
Qualche riflessione.
-Questi allenatori sanno che stanno partecipando al torneo ANSPI, ANSPI che sta per Associazione Nazionale San Paolo Italia, tradotto campionato degli oratori?
-Questi allenatori sanno che io non sono un arbitro amatoriale, ma solo un papà che si mette a disposizione e fa ciò che molti altri non vogliono fare e anche domenica ho capito perché?
-Questi allenatori sanno che sono un esempio per i "loro bambini"? (Prima di essere giocatori di calcio sono bambini).
-Questi allenatori conoscono il significato della parola rispetto?
-Questi allenatori, al pari di certi genitori esagitati, sono consapevoli del loro ruolo di educatori, o vivono questa situazione solo per una rivalsa di un passato ingeneroso?

Caro direttore quante domande per una semplice partita di calcio, lei non trova?
Ho nuovamente fatto una domanda.
 
 
Le porgo i miei distinti saluti, ancora il papà di Lorenzo.
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