In vino veritas
di Alberto Cartella

Una riflessione sul rapporto tra alcolizzati e il cedimento del mito dell'autocontrollo, partendo da un brano di Fabrizio De Andrè e da alcuni pensieri del biologo Gregory Bateson attorno agli errori dell'alcolizzato e di chi lo richiama a darsi un limite

 
"(...) Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno
a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo.
 
Loro cercan là, la felicità dentro a un bicchiere
per dimenticare d'esser stati presi per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l'ombra di un sorriso tra le braccia della morte (...)"
(Fabrizio De André, La città vecchia)
 
 
Per un alcolizzato l’intossicazione è l’opportuna correzione soggettiva della sobrietà. Sarebbe un errore richiamarlo a un ritorno alla sobrietà perché è proprio per la sua sobrietà che ha intravisto nel bere una correzione soggettiva di essa. Questo non vuol dire però che le proprie pene a volte non siano la scusa per bere.
 
L’alcolizzato continua a bere anche per la forza di volontà alla quale lo si richiama. Quella forza che lo si esorta a perseguire è ciò che lo spinge a farsi un altro bicchierino. Perché se sono forte posso smettere di bere quando voglio e ogni bicchiere è sempre l’ultimo. Si tratta della sfida del rischio: rischio un bicchierino perché tanto posso controllarmi. É il mito dell'autocontrollo, l'inganno della risoluzione del proprio problema attraverso la forza di volontà. Voglio combattere contro la bottiglia. Resisterò alla tentazione.
 
L'autocontrollo non funziona, si tratta dell'orgoglio caratterizzato dalla lotta contro l'immaginario (devo dimostrare che sono più forte della bottiglia). L'orgoglio sta nel considerare l'alcolismo fuori dell'io.
 
L'autocontrollo non funziona perché come sostiene Pascal il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce. L'alcolizzato trova la sua salvezza soggettiva dentro a un bicchiere.
 
Il punto di cedimento del mito dell'autocontrollo sta nel toccare il fondo; il fondo varia da uomo a uomo e qualcuno può essere morto ancor prima di toccarlo. L'esperienza della sconfitta è la condizione del cambiamento. Una volta alcolizzati, si è alcolizzati per sempre (all'associazione degli Alcolisti Anonimi lo si ripete continuamente).
 
Si tratta della consapevolezza che il sistema è più grande di lui; si sta parlando di un cambiamento involontario, di un'esperienza spirituale (che non vuol dire religiosa), la quale rende irrilevante la descrizione letale (“sei un debole”, “sei senza speranza”). C'è un Potere più grande dell'io. La sfida, la reazione alla debolezza inizia a crollare.
 
Quello dell'alcolizzato è un caso limite, ma gli errori dell'alcolizzato sono identici agli errori di chi lo richiama a darsi un limite. Anzi, l'alcolizzato inizia a bere proprio per sottrarsi alla tendenza epistemologica dell'autocontrollo e della risoluzione di un problema attraverso l'estrazione di una parte dal sistema, la quale deve essere risolta o addirittura estirpata.
 
L'alcolizzato inizia a bere per la suddetta sottrazione e continua a bere quando viene richiamato alla tendenza epistemologica alla quale sta tentando di sottrarsi e cerca la felicità dentro a un bicchiere.
 
Le caratteristiche mentali del sistema sono immanenti non in qualche sua parte, ma nel sistema come totalità. Non vi è separazione fra io e mondo, non si può combattere contro il proprio alcolismo, ma si tratta di considerare le relazioni sottraendosi alla pericolosità dell'orgoglio e dell'isolamento del proprio io. Si tratta di un cambiamento epistemologico.
 
Queste considerazioni sono state rese possibili dal guadagno di pensiero che ho ricevuto dal poeta Fabrizio De André e dal biologo Gregory Bateson. Inoltre, seguendo Bateson, è importante precisare che non tutti gli alcolizzati sono come è stato sopra descritto.