Come faccio ad essere un bravo genitore?
di Giuseppe Maiolo

Un altro appuntamento per il ciclo "Genitori in forma-zione". Questo lunedì 13 maggio alle 20.45 presso la sala consiliare di Villanuova sul Clisi la dottoressa Mariella Bombardieri , pedagogista e formatrice, interverrà affrontando il tema "Come faccio ad essere un bravo genitore?"

Vista la domanda accattivante, ma anche provocatoria, abbiamo chiesto alla relatrice di anticiparci alcuni punti del suo intervento.

Dott.ssa Bombardieri, come mai questo titolo e cosa vuol dire essere un bravo genitore?


Il titolo è un po' provocatorio. Parto dal fatto che molti genitori in consulenza mi pongono questa domanda a cui non c’è una risposta precisa. Come dico nel sottotitolo, io sostengo che essere un bravo genitore vuol dire avere il coraggio e l’umiltà far tesoro delle esperienze e sapere che è importante rifuggire dalle ricette già pronte.
La strada fondamentale per me è quella dell’interrogarsi. Non tanto sul fatto se sono un bravo genitore quanto piuttosto che bisogni ha mio figlio, che tipo di relazioni intrattiene a scuola o altrove.
Poi lascerei la domanda aperta in modo tale da non rinunciare a chiedermi anche chi siamo noi come genitori.

Perché, secondo lei, molti genitori si pongono il problema di essere bravi genitori o addirittura genitori perfetti?

Oggi i genitori hanno la fortuna di avere molte possibilità: si interrogano di più e hanno contemporaneamente molte fonti di informazione. Si corre però anche il rischio di un eccessivo psicologismo e vi è la tendenza ad aspettarsi dall'esperto una risposta.
Ci sono genitori ad esempio che hanno letto molti libri sulla genitorialità. Ma nello stesso tempo credo che ci siano molte famiglie fragili dove manca l’ autorevolezza. Molti genitori faticano a gestire i rapporti educativi e aumenta l'aspettativa che dall'esterno ci sia una ricetta pronta per essere bravi genitori.
Questo credo che sia anche dettato dal fatto che molti genitori oggi sono soli. E penso non solo ai genitori di altre culture ma anche quei genitori che non hanno attorno nessuna rete. Famiglie piccole, con legami ridotti. Aggiungerei poi un eccesso di insicurezza e la fragilità di noi adulti di fronte alle difficoltà.
Infine non dimenticherei il fatto che viviamo un tempo in cui c’è una esaltazione eccessiva del bambino che spesso non fa capire chi è il genitore e chi è il figlio, così di frequente assistiamo ad un’invesione di ruoli.

Secondo lei a questo punto qual è la sfida più importante che si dovrà affrontare sul piano educativo?

Io credo che una delle sfide più importanti sia quella di uscire dalla solitudine e tornare a creare legami sul territorio in modo da non lasciare soli i genitori e aiutarli confrontarsi con altri. La mia esperienza mi fa dire che il confronto con i pari ci aiuta a sentirci meno sbagliarti.
Poi non dimentichiamo che bisogna investire in termini di servizi alla famiglia e non solo servizi di cura del disagio ma soprattutto di prevenzione. Oggi purtroppo la grave crisi di risorse spinge a tagliare proprio questa.
Un'altra sfida è certamente quella di realizzare delle buone prassi educative che esistono perché ci sono molte belle esperienze fatte sul territorio che non vengono messe in circolo.
Una delle cose che mi appassiona di più è il tema della resilienza. Vengo da altre esperienze formative in zone di guerra, come il Ruanda e la Palestina, dove la resilienza è una forza che auita e serve. Oggi, dunque, la sfida è proprio quella aver fiducia nelle proprie risorse e coltivare la speranza: si può passare in mezzo a molte fatiche ma da queste si può uscirne più ricchi e forti, senza peraltro togliere nulla a quello che abbiamo sofferto. In questo senso la sfida è quella di non rinunciare perchè questo significa rinunciare al futuro della società.
Per finire direi di ricordare un’ultima sfida: quella che l'adulto sia adulto, cioè capace di prendersi delle responsabilità. E qui estenderei il discorso anche alla scuola e al mondo dello sport, quindi agli insegnanti, agli allenatori. Dobbiamo metterci tutti insieme per far crescere i figli perché, ad esempio, ci sono età particolari come l’adolescenza, dove Il genitore da solo non è sufficiente.